Noemi Di Segni, una donna alla guida degli ebrei italiani: «Sicurezza la priorità»

Noemi Di Segni, una donna alla guida degli ebrei italiani: «Sicurezza la priorità»
di Francesca Nunberg
3 Minuti di Lettura
Lunedì 4 Luglio 2016, 00:30 - Ultimo aggiornamento: 5 Luglio, 12:21

ROMA «Sappiamo cosa vuole dire essere obiettivo dei terroristi. Lo sappiamo per vissuto, conosciamo l’emergenza sicurezza, la necessità di interpretare i segnali e capire come si muovono i gruppi sul territorio, senza chiudere gli occhi per paura. È l’aiuto che possiamo dare all’Europa in questo momento in cui la densa nuvola nera è arrivata a oscurare anche i nostri cieli». Parte determinata Noemi Di Segni, appena eletta presidente dell’Ucei, l’Unione delle Comunità ebraiche italiane, 47 anni, di professione coordinatrice dei rapporti internazionali dei commercialisti, nata a Gerusalemme e romana d’adozione, sposata, tre figli. Una outsider, rispetto al panorama dell’ebraismo romano. La lista con cui il 19 giugno si era presentata alle elezioni comunitarie si chiama Benè Binah, i figli della saggezza. Per quattro anni Di Segni è stata assessore al Bilancio dell’Ucei e ora prende il posto di Renzo Gattegna, avvocato, da dieci anni alla guida degli ebrei italiani. Ha conquistato il cuore delle piccole comunità italiane.

Di Segni, il suo primo gesto quale sarà?
«Non ci sarà un atto simbolico perché le sfide sono tante e in parallelo. Non si tratta di mettere una targa, ma di analizzare i fenomeni. Rimarcando il contributo valoriale che l’ebraismo italiano offre e condivide con la società esterna e il modo in cui l’ebraismo stesso viene riconosciuto e tutelato».
 
Un doppio sguardo, quindi?
«All’interno è necessario dare un messaggio di unità, l’ebraismo italiano è frastagliato, le comunità sono 21, ma oltre alle maggiori di Roma e Milano ne esistono altre 19 con le quali bisogna definire nuovi modelli di networking per gestire in sinergia i servizi comunitari. I finanziamenti dell’otto per mille andranno rafforzati. Ma bisogna anche affrontare il tema dell’identità ebraica, con la formazione religiosa, la scuola, la socializzazione».

Vede dei rischi?
«Quello di una banalizzazione di quanto appartiene alla nostra memoria, di volgarizzazione della cultura ebraica e dei suoi simboli portati all’esterno e vissuti come festival». 

Ma all’esterno la sicurezza non rischia di diventare argomento dominante?
«Il problema è che bisogna sviluppare una strategia vincente per difendere le nostre comunità da un antisemitismo che diventa sempre più aggressivo e subdolo. Ma la sicurezza va gestita informando e senza generare panico. Di concerto naturalmente con le forze dell’ordine e l’intelligence».

Dopo Ruth Dureghello presidente degli ebrei romani, lei è la seconda donna alla guida di un’istituzione comunitaria. E a Roma da un paio di settimane abbiamo anche il sindaco donna. Segno di nuovi tempi?
«Spero che donne giovani con voglia di fare portino il loro entusiasmo a vantaggio della collettività. Staremo a vedere».

Lei è nata a Gerusalemme, poi è venuta a vivere in Italia, un percorso inverso rispetto a quello fatto da molti.
«Sono cresciuta in un ambiente religioso, fino a vent’anni ho vissuto in Israele dove ho fatto il servizio militare, sono madre di tre figli due dei quali avviati verso una vita in Israele. Sono figlia di italiani e parte di una comunità antica ma proiettata verso il futuro. Come comunità siamo al fianco dello Stato di Israele. Sappiamo come la sua sopravvivenza rappresenti una garanzia per l’esistenza, e aggiungerei oggi resistenza, dell’intera compagine europea. Continueremo a difenderlo come luogo di eccellenza nello sviluppo etico, scientifico, tecnologico e sociale, unico nel Mediterraneo».

Ci sarà continuità con la presidenza Gattegna dell’Ucei? 
«Assolutamente sì. Lo considero un esempio di presidenza da seguire, da lui ho imparato moltissimo, soprattutto l’ascolto e il rispetto delle persone».
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA