Non si tratta, è ovvio, di banale “rispetto” per l’epoca o i fatti. Il cinema “tarantinato” non prevede simili piccolezze. Gli ultimi due film dell’autore di
Già. Dopo un primo tempo tutto giocato sulla presentazione dei personaggi, le otto carogne del titolo, che non si conoscono tra loro, si ritrovano nel chiuso di una locanda sperduta tra le nevi del Wyoming. E inizia un lento, lentissimo gioco al massacro, che riporta alle atmosfere e alle truculenze di
Nessuno, questa è un’idea divertente, sa esattamente chi siano gli altri. Anche se il West ha il suo star system, dunque almeno i due cacciatori di taglie, il bianco John Ruth detto il Boia perché consegna sempre i prigionieri vivi (Kurt Russell), e il nero Marquis Warren che invece li ammazza subito (Samuel L. Jackson), sono noti a tutti. Così come la “preda” di Ruth, la famigerata Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh). Sugli altri invece non ci sono certezze, il che crea un comico balletto di credenziali, mandati, dichiarazioni, con cui ognuno cerca di affermare la propria identità (la lettera autografa del presidente Lincoln che l’ex-nordista Jackson conserva come una reliquia è la chiave di volta del film).
Sullo sfondo anzi in primo piano, ossessivamente ribadito da dialoghi e azione, c’è infatti il marchio originario del razzismo e della violenza, infamia da cui l’America non si libererà mai. La guerra civile è finita da poco, l’odio è ancora palpabile, nessuna riconciliazione è possibile, i negri sono negri e come tali vengono trattati, in pace e in guerra.
Così, mentre le maschere iniziano a cadere, e le pistole a cantare, Tarantino dà fondo a tutte le sue ossessioni, accanendosi con insistenza, anche fisicamente, sul personaggio più spregevole, che è proprio la prostituta Jason Leigh. Ma senza mai fugare quella sgradevole sensazione di gratuità e a tratti di vero delirio che rende il film non solo brutto, effetto in parte voluto, ma incredibilmente noioso.
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