Terrorismo, Luttwak: «Francesi e tedeschi sbagliano, seguano il vostro esempio»

Terrorismo, Luttwak: «Francesi e tedeschi sbagliano, seguano il vostro esempio»
di Flavio Pompetti
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Giovedì 28 Luglio 2016, 00:05
«I terroristi che hanno agito nelle ultime settimane in Germania e in Francia non sono furbi, organizzati o capaci, e rappresentano una minaccia di bassa qualità. Quello che li rende estremamente pericolosi è l’inettitudine dei governi dei paesi nei quali hanno agito, e l’impreparazione della polizia». Per il politologo romeno-americano Edward Luttwak l’Europa non è condannata ad assistere supinamente alla sequenza di attentati terroristici. Basterebbe prendere esempio dall’Italia.

Cosa fa l’Italia per ripararsi dalla minaccia?
«Nelle ultime ventiquattro ore soltanto, tre sospetti sono stati identificati nel savonese, e un Iman convocato dalla Digos a Reggio Emilia. Le autorità italiane non si sono limitate a schedarli per poi lasciarli andare liberi. Nel primo caso hanno arrestato due dei giovani che avevano postato foto minacciose sul web, perché li hanno trovati collegati ad una rete possibilmente attiva di congiuratori. L’Iman che viveva da anni in Italia e negli ultimi tempi aveva pronunciato sermoni di sospetta intensità ideologica, è stato espulso per i prossimi quindici anni. Questo tipo di vigilanza assidua e serrata alla lunga fa la differenza».
 
E gli altri paesi europei?
«Abbiamo sotto gli occhi il caso clamoroso dei due attentatori in Francia: Malik e Kermish, entrambi nel casellario di polizia, uno conosciuto per le turbe psichiche. Era davvero impossibile mettere insieme i due elementi e concludere che c’era l’ipotesi di un alto rischio? Il problema è che la Francia paga il prezzo di un vecchio retaggio garantista che le impedisce di trasformarsi in uno stato più aggressivo nel prevenire il terrore».

È solo un problema di assetto giuridico?
«Anche la polizia transalpina ha dimostrato un livello di impreparazione impressionante. Una delle donne nel commando che ha attaccato il Bataclan era ben conosciuta da ben tre diverse agenzie che indagavano su di lei, e tuttavia, circolava liberamente. Ma c’è di più: quando l’hanno stanata e sono andati a cingerla d’assedio nella casa rifugio le squadre speciali hanno esploso 5.000 proiettili, crivellando l’abitazione. Questo non è il modo in cui agisce una squadra di professionisti; quell’azione ha tradito panico e indecisione. Anche nel caso dell’attentato a Nizza abbiamo visto che erano stati omessi diversi stadi di controlli di sicurezza, come se le stragi degli ultimi anni non fossero mai successe. Insisto, il nucleo centrale del problema è politico e culturale, prima che di ordine pubblico e pubblica amministrazione».

Cosa impedisce una svolta verso una maggiore funzionalità?
«La riluttanza a inquadrare il problema per quello che è: l’emergenza di un estremismo religioso che diventa criminale senza per questo perdere contatto con la base dei fedeli, anzi, che riesce ad agire in nome della religione musulmana. Prendiamo l’esempio della Germania, dove a poche ore dai recenti attentati si è subito corsi a definire gli episodi come la follia di un cane solitario. A chi serve questa fretta a inscatolare il problema in modo da minimizzarlo, o perlomeno a decretarlo fuori della portata della prevenzione? Guarda caso, poi si scopre che gli attentatori avevano delle affiliazioni all’estremismo musulmano e che una volontà più energica di identificarli avrebbe forse potuto evitare la strage. Ecco invece che i tedeschi come è già accaduto ai francesi e ai belgi, sono ora intenti a ripulire il sangue dei loro cittadini dalle strade».

Cosa c’è dietro questa riluttanza?
«La disonestà intellettuale dei governanti, non so come meglio definirla. E poi una storica divisione tra troppe linee di comando delle forze di controllo, che sono dominate dal sospetto reciproco e non riescono a comunicare tra loro in modo efficiente. Il dibattito pubblico è ampio e aperto, ma a livello di governo centrale in Germania c’è un diniego immotivato e colpevole della reale dimensione del problema, e una determinazione a non agire».

Come si comporta l’America al riguardo?
«Fino a qualche anno fa l’FBI aveva una certa libertà di manovra. I sospetti venivano avvicinati da agenti in borghese che si proponevano come complici di un possibile atto terroristico, senza però mai istigare direttamente l’azione, e chi cadeva nella trappola e rivelava la sua identità veniva messo via per almeno trenta anni. Obama ha preteso maggiore correttezza e trasparenza dall’agenzia, ma la mia impressione è che comunque vadano le elezioni, il livello delle misure di sicurezza negli Usa è destinato di nuovo a salire».
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