Sin da quando sono stati istituiti nel 1998 con la legge Turco-Napolitano, le strutture vengono contrastate perché considerate delle vere e proprie carceri. Gli immigrati clandestini che vengono ospitati dovrebbero restarci il tempo necessario all’espulsione. Ma quasi mai è così, perché i 90 giorni previsti dalla procedura, dopo l’arrivo in Italia dello straniero, dovrebbero bastare a identificare nome e nazionalità per poter procedere al rimpatrio. E invece ci vuole di più, anche perché non sempre da parte degli stati di provenienza arrivano risposte positive.
STRUTTURE CHIUSE
I Centri presenti sul nostro territorio sono cinque: Torino, Roma, Bari, Trapani e Caltanissetta, ma molti di questi sono chiusi o lavorano in versione ridotta, tanto che i clandestini ospiti sono 360. In questi anni, poi, in linea con la Grecia, la Spagna, anche l’Italia è andata sempre di più abolendo le strutture. Tanto che il Cie di Roma, a Ponte Galeria, lavora a metà, a Trapani ne funziona solo uno, mentre il secondo è diventato un Cara per i richiedenti asilo. Chiuso lo spazio di Milano in via Corelli. Chiuso Gradisca D’Isonzo, vicino Gorizia, chiusa Modena, dove nel tempo erano state avviate strutture simili. A Bari è presente un Cie molto piccolo, a Crotone ora c’è un Cara, mentre continua a funzionare Caltanissetta.
Il piano del Viminale prevederebbe di riaprire Milano e Bologna e forse anche un terzo centro. Il vero handicap del progetto, però, è che gli spazi sono andati distrutti nel corso degli anni, alcuni incendiati dalle proteste, altri abbandonati, e che quindi il lavoro di ripristino non sarà facilissimo. Inoltre non basteranno certo i Cie a risolvere il problema dell’intensità dei flussi, anche perché gli arrivi negli ultimi 12 mesi sono stati da record: più 18,21 per cento rispetto allo scorso anno, per un totale di 180.392 migranti.
LE RIPERCUSSIONI
La scelta di chiudere i Cie ha, comunque, avuto le sue conseguenze negative, perché lo straniero che non ha il diritto di chiedere asilo, dopo aver passato i controlli in un hotspot, riceve un decreto di espulsione, ma è formalmente libero, e diventa molto spesso irrintracciabile. Il caso di Anis Amri, il tunisino che ha colpito a Berlino, è uno dei tanti. Arrivato in Italia con i barconi, identificato ed espulso, è rimasto sul nostro territorio a lungo, in attesa di ricevere dalla Tunisia delle indicazioni per poterlo rimpatriare. All’epoca, però, era in corso la Primavera araba, i rapporti generalmente collaborativi con il paese africano, andavano molto a rilento. E il giovane si è messo a circolare per l’Europa.
Il nuovo ministro dell’Interno, Marco Minniti, oltre ai Cie, intende continuare a rafforzare gli accordi con gli stati di provenienza. Al momento la collaborazione rimane positiva con l’Egitto, il Marocco, la Nigeria, la Tunisia. Mentre i nostri esperti contano di riuscire a siglare intese anche con altri paesi dell’Africa subsahariana.
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