"Steve Jobs", un eroe disegnato al computer

"Steve Jobs", un eroe disegnato al computer
di Francesco Alò
3 Minuti di Lettura
- Ultimo aggiornamento: 27 Gennaio, 17:22
Chi era il cofondatore della Apple Steve Jobs? Un genio del '900 o solo un luciferino capitalista? Un prodotto biologico così mal riuscito da essere rifiutato dai suoi genitori naturali o il miglior ”papà” di sempre, capace di presentare al mondo creature - soprattutto informatiche - con lo zelo e il calore del padre più affettuoso? Nel loro film, da domani in sala, l'eclettico regista scozzese Danny Boyle e il pluripremiato sceneggiatore americano Aaron Sorkin decidono di non rispondere direttamente. Per darci, anziché una biografia canonica, il montaggio di tre grandi eventi "jobsiani" coincidenti con tre momenti cruciali della sua carriera.

Si parte nel 1984 quando uno Steve Jobs capellone arriva quasi a minacciare di morte Andy Hertzfeld perché non è in grado di far dire «Ciao» all'Apple Macintosh di fronte a una platea trepidante. Mentre tutti aspettano il nuovo Mac, Jobs riceve la visita a sorpresa dell'ex moglie Chrisann e della figlia non riconosciuta Lisa. Lo vediamo urlare, citare a sproposito Stravinsky, lamentarsi di non esserci lui in copertina su Time (ironicamente c'è solo un computer) e ripetere all'infinito: «Lisa non è mia figlia», «I computer non dovrebbero avere i difetti delle persone» o «Sono come Giulio Cesare, circondato da nemici». 

EREDE
La piccola Lisa, in mezzo a tutto questo trambusto, comincia a disegnare con l'applicazione Paint Mac e improvvisamente lui si illumina. Domanda: è felice per Lisa o è contento che l'aggeggio funzioni bene? Stacco. Ritroviamo Jobs nel 1988 mentre presenta la sua nuova azienda, NeXT. E' stato cacciato dalla Apple, nessuno crede nella nuova avventura ma lui continua a ricevere visite di ex amici (divertente lo Steve Wozniak di Seth Rogen, che non riesce a non volergli bene), ex alleati (il John Sculley di Jeff Daniels, colpevole di aver ricevuto forse troppe rivelazioni personali per potergli stare ancora accanto) e fedeli collaboratori (la Joanna Hoffman di Kate Winslet, praticamente un paziente soldato con funzioni di silente terapeuta). Ma forse Steve ha un piano e mentre sa che NeXT sarà un fallimento ecco la piccola Lisa gironzolargli intorno, ormai riconosciuta come sua erede. 

APOTEOSI
Il rimprovero è sempre dietro l'angolo («Devi andare a scuola») ma un abbraccio improvviso potrebbe metterlo knockout peggio di mille consigli d'amministrazione schierati contro la sua risaputa megalomania. Ultimo stacco. È il 1998 e l'apoteosi è alle porte. Steve è tornato a mordere la mela come nuovo capo Apple e il mondo è in estasi per l'oggetto delle meraviglie che concretizza la sua ossessione estetica più che ingegneristica: l'iMac. Un computer elegante e funzionale, da contemplare come un quadro oltre che da usare.

È l'ultimo Jobs. Quello stempiato sempre sorridente in maglietta nera a collo alto, jeans e scarpe da ginnastica. Nel momento del trionfo professionale rancorosi fantasmi del passato (Andy Hertzfeld) arrivano a rovinargli la festa mentre Steve Wozniak, coprotagonista del mito della caverna-garage in cui nacque la Apple, arriva a urlargli in faccia: «Non voglio essere Ringo quando in realtà ero John!». Come dire: Jobs si era impadronito del ruolo di Lennon quando in realtà il vero genio in quel garage era il mite e passivo "Woz". E Lisa? Lisa ora è una 19enne aggressiva pronta anche lei ad apostrofarlo: «Vigliacco». La risposta del padre è quasi una dichiarazione d'amore: «Metterò mille canzoni nella tua tasca». Ovvero: il superamento del walkman è alle porte e si chiamerà iPod. 

SENTIMENTALE
Che dire di un film così accattivante, esagitato e sentimentale? Parafrasando Pirandello, questo Jobs è: tre, nessuno e centomila idee per fatturare. Quello che più stupisce in negativo, ed è andata così anche all'Oscar dove la pellicola ha ottenuto solo due nomination, è la penna di Aaron Sorkin. Acre e spietato nel descrivere Zuckerberg, guru ragazzino di Facebook in The Social Network. E invece terribilmente indulgente con il coetaneo della stessa generazione Jobs, qui impegnato in una love story con la figlia Lisa dal sapore via via sempre più stucchevole. 
Michael Fassbender è un Jobs sempre perfetto, bello, suadente e spiritoso. Ben più coraggioso di lui fu l'Ashton Kutcher del tanto biasimato Jobs. Il film, di fatto, è una commedia sentimentale in cui sia la commedia che i sentimenti sembrano sempre perfettamente programmati. Come al computer.
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