Stefano Parisi: «Renzi non sfonda al centro, rifaremo il polo moderato»

Stefano Parisi: «Renzi non sfonda al centro, rifaremo il polo moderato»
di Giampiero Timossi
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Venerdì 29 Luglio 2016, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 30 Luglio, 09:15

MILANO - Andrà in vacanza? «Voglio lavorare e consegnare in fretta il progetto. Voglio dare una mano alla creazione di un progetto per la rigenerazione della politica, per ricostruire i fondamentali culturali di una piattaforma liberal-popolare. E’ quello che mi ha chiesto il presidente Berlusconi, è quello che mi chiedono in tanti». Stefano Parisi non andrà in vacanza, dice di avere «sessant’anni», ma li compirà a novembre, è nato a Roma, parla alle «persone» e detesta la parola «gente», vive tra Milano e la Capitale, è stato lombardiano, tifa giallorosso.

Economista del fare, manager, ragiona per obiettivi che schematizza in punti, il che lo aiuta a dare più forza a un progetto tutto in divenire e a dribblare le trappole dell’opposizione interna. Qui sta un piccolo paradosso, che Parisi vuole ignorare, sorvolando: le beghe sono dentro Forza Italia, ma lui in Forza Italia non mette piede. Due giorni fa i primi incontri li ha avuti nella sua casa ai Parioli, nel pomeriggio, quando è atterrato a Roma dopo aver perso il primo aereo prenotato da Milano. «Confesso?». Può essere un buon inizio. «Mi ero fermato a chiacchierare con alcune persone incontrate al gate, non ho sentito l’annuncio, il volo è decollato, sono finito in lista d’attesa e sono riusciti a infilarmi su quello successivo».

E allora, Parisi, partiamo dalle attese. Quanto ha impiegato per accettare la proposta di Berlusconi di candidarsi come sindaco di Milano?
«Circa due mesi; per me era un radicale cambio di prospettive. Volevo pensare all’azienda, mi piace creare valore e lavoro. E poi ho sessant’anni, ho lavorato tanto nella mia vita e speravo di avere ritmi meno intensi».

E per decidere di impegnarsi in un nuovo progetto per il centrodestra?
«Una settimana, quella dopo la fine delle elezioni a Milano. Mi ero sentito bene, sempre a mio agio, con me stesso, con le tante persone che ci avevano e avevamo ascoltato. Ma il mio è un contributo di idee, per rigenerare quell’area politica liberale e popolare nella quale si riconosce la maggioranza degli italiani».

Perché lo ha fatto?
«Per questo e perché ho avuto una vita fortunata con molte esperienze di lavoro, ho una passione per il mio Paese, dobbiamo smetter di lamentarci per la qualità della politica. Bisogna ridare la speranza agli italiani, io pure non ho votato tante volte perché non mi riconoscevo in nessuno dei partiti».

Perché lei dovrebbe riuscire dove altri hanno già fallito?
«Non parlo degli altri, non so quale fosse la domanda alla quale loro dovevano rispondere. E non sono l’amministratore delegato di Forza Italia: a settembre, a Milano, organizziamo una conferenza programmatica, tutti contributi esterni ai partiti. Credo che questo sia il momento giusto per intervenire».

In quattro anni la percentuale di chi vota FI è scesa dal 21 all’8%. E’ il momento nel quale il contenitore politico del partito sembra sempre più vuoto?
«Questo è un dato. Ma io parlo di quanto accaduto anche nelle ultime elezioni. Si è visto che Renzi vince dove rifà l’Ulivo, come a Milano, non sfonda al centro, non prende i voti dei moderati. Non funziona il “partito della nazione”. C’è un enorme spazio per riportare le persone a votare per il centro destra: se c’è una proposta seria di governo gli elettori non votano per i Cinque Stelle. Dobbiamo rigenerare l’offerta politica, che sia liberale e popolare, che offra soluzioni ai problemi delle persone, che liberi le imprese, che sappia ascoltare i bisogni reali del Paese».

Per farlo bisognerà anche tenere insieme Lega e Ncd, per esempio. Era l’eterno dilemma dell’Ulivo, scegliere tra centro e sinistra radicale. Sarà un’impresa anche per lei.
«La guida deve essere moderata, credo che il problema dell’Ulivo sia stato quello di farsi guidare spesso dai radicalismi. Nella nostra piattaforma forze radicali e più moderate devono convivere».

A ottobre la partita sul referendum costituzionale?
«Ha fatto male Renzi a mettere se stesso come posta in palio. Come ha detto giustamente il Presidente della Repubblica Mattarella, dobbiamo portare la discussione nel merito della riforma. Oggi i cittadini non comprendono per cosa stanno andando a votare. Non si può andare a votare sotto il ricatto dell’aumento dei tassi d’interesse, sventolando lo spettro della Brexit e della crisi economica, questo è sbagliato».

E’, in sostanza, quanto ha fatto il presidente del Consiglio. Che, lo ha detto lei, non si dovrebbe dimettere in caso di sconfitta referendaria. Giusto?
«Forzato, ho detto che il Paese dovrà essere governato fino a nuove elezioni, con una nuova legge elettorale. Ciò non vuol dire che a farlo dovrà essere Renzi, ma lui o anche un altro che avrà ricevuto un nuovo incarico. Dopo il referendum l’Italia sarà inevitabilmente spaccata in due, sarà necessario assorbire questa frattura».

Ci sarà modo di riassorbire all’interno della sua piattaforma chi ora, dentro FI, è molto critico con il suo progetto?
«Lavoriamo al progetto, non pensiamo ad altro. Credo che non possa non essere interesse di tutti rappresentare in modo vasto la maggioranza degli italiani. Tutti possono dare un contributo, persone nuove e chi ha avuto già esperienza politica».

Risposta di antica scuola democristiana?
(Ride) «Ma no, io al liceo ero segretario delle federazione dei giovani socialisti. Sono uscito dal PSI nel 1982, quando Craxi salvò Rumor. Il mio riferimento era Riccardo Lombardi».

Lombardiano, come Fausto Bertinotti.
«Ma, sono passati 40 anni, il mondo è cambiato».
 

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