Shalabayeva, cinque indagati in Questura, chiuse le indagini sull’espulsione della moglie del dissidente kazako

Shalabayeva, cinque indagati in Questura, chiuse le indagini sull’espulsione della moglie del dissidente kazako
di Cristiana Mangani
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Martedì 28 Aprile 2015, 23:56 - Ultimo aggiornamento: 30 Aprile, 08:41
La procura di Roma chiude il caso Shalabayeva. E a due anni di distanza da quell’espulsione costata una brutta figura all’Italia, invia l’avviso di conclusione delle indagini a cinque protagonisti della vicenda: Maurizio Improta, ex capo dell’Ufficio immigrazione della Questura di Roma, e altri quattro suoi collaboratori, tutti dipendenti dello stesso ufficio. Gli accertamenti sul caso che ha scatenato inchieste interne agli uffici del Viminale, relazioni del presidente del Tribunale della Capitale, audizioni al Copasir, si chiudono forse nella maniera più facile: con i pm pronti a chiedere il processo per quegli uomini della Polizia che, nell’espulsione della moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, hanno materialmente proceduto a farla salire insieme con la figlia Alua sull’aereo che le ha portate in patria.



LE DIMISSIONI

Sono state vane, dunque, le dimissione dell’ex capo di gabinetto del ministro dell’Interno Giuseppe Procaccini, che per quel pasticciaccio brutto ha lasciato il posto spinto «dal senso delle istituzioni». La sua testa è caduta dopo le tante polemiche scatenate dal caso. E’ lui che il 28 maggio del 2013 riceve l’ambasciatore kazako Andrian Yelemessov e il suo primo consigliere. Un incontro per parlare proprio di Ablyazov, dissidente oppositore del regime, già capo di un’importante banca kazaka, accusato di truffa e ricercato dal Kazakistan e anche da Mosca, come è poi risultato dalla sua scheda inserita nel sito dell’Interpol. Durante il colloquio i diplomatici avvertono l’Italia che Mukhtar era in una villa a Casal Palocco. Procaccini li invita a rivolgersi per competenza al Dipartimento di pubblica sicurezza, e da lì scatta l’operazione.



IL BLITZ

È la notte tra il 28 e il 29 maggio di due anni fa, quando Alma Shalabayeva viene arrestata alla periferia della Capitale, da circa 50 agenti della squadra mobile e della digos, e viene portata al Cie di Ponte Galeria. Durante l’irruzione dichiara di godere dell’immunità diplomatica. Per verificarlo la polizia invia un fax all’ufficio del Cerimoniale del ministero degli Esteri, che risponde negativamente.



La ricerca del marito, nei confronti del quale pendeva un mandato di cattura internazionale e un processo nell’Alta Corte di Londra, risulta vana. Non è più nella Capitale. La signora, invece, arriva al Cie e il 31 maggio il giudice di pace Stefania Lavore ne convalida il trattenimento a Ponte Galeria. Sullo stesso giudice ora pende un procedimento da parte della procura di Perugia, che l’ha indagata avendo competenza sui magistrati della Capitale. Subito dopo l’arresto i legali di Shalabayeva si recano in Procura per tentare di bloccare l’espulsione, ma da piazzale Clodio arriva il nullaosta al rientro in Kazakistan. La signora viene messa su un aereo fornito dal governo kazako, con a bordo un diplomatico di quel paese.



LA PREFETTURA

Un giorno prima, il 30 maggio, anche la Prefettura firma il decreto di espulsione affermando che Alma era entrata illegalmente in Italia. Il 5 luglio, però, le cose cambiano nuovamente e il Tribunale stabilisce che il presupposto con cui era stata giustificata l’espulsione – cioè un passaporto diplomatico della Repubblica Centroafricana in possesso della donna, considerato falso – non sussisteva. Il procuratore Giuseppe Pignatone e il sostituto Eugenio Albamonte potrebbero, però, firmare anche nei confronti della Shalabayeva la chiusura di indagine per quel misterioso e ancora oscuro passaporto.

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