Gabriele Sandri, il fratello: «Chi lo ha ucciso ​non si è mai scusato»

Gabriele Sandri, il fratello: «Chi lo ha ucciso non si è mai scusato»
di Michele Galvani
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Lunedì 6 Novembre 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 7 Novembre, 08:56
Cristiano Sandri, chi era suo fratello Gabbo?
«Gabri, io lo chiamavo così, aveva un cuore d’oro. Era un ragazzo eccezionale. Molto corretto, il primo a sacrificarsi per gli amici. Basta guardare le sue foto: se gli occhi sono lo specchio dell’anima ecco, direi che gli rendono onore».

Sono passati 10 anni. Che ricordi ha di quell’11 novembre?
«Innanzi tutto vorrei precisare una cosa. Evitiamo strumentalizzazioni. Le tifoserie, gli adesivi di Anna Frank, gli scontri, non c’entrano nulla. Comunque ricordo tutto, perfettamente».

Chi la chiamò per primo?
«Luigi, che era lì. Mi disse: è successo qualcosa a Gabbo, vieni ad Arezzo accompagnato. Io pensai a un incidente stradale, perché lo avevo salutato la sera prima e sapevo che andava in auto a Milano. Mi accompagnò Michele, che oggi è il padrino di mio figlio. Mi disse subito: hai sentito, hanno sparato a un tifoso della Lazio. A quel punto capii tutto. Durante il tragitto in auto, sapevo che non avrei dovuto accendere la radio, ma la tentazione fu troppa. Arrivai ad Arezzo che già sapevo della sua morte. La macchina circondata dal nastro. Il foro del proiettile sul vetro».

E i suoi genitori?
«Dovetti chiamarli io, dalla macchina. Ancora ricordo l’urlo di papà. Di mamma neanche le dico».

Sua madre, in questi 10 anni, è l’unica che non hai mai detto una parola.
«L’abbiamo protetta. Non si è più ripresa da quel giorno».

Ha chiamato suo figlio Gabriele. Scelta naturale?
«Sì, anche se a posteriori sto capendo la portata della vicenda. Lui sarà un altro Gabriele Sandri. Ma evidentemente c’era un filo che li univa. Sono talmente orgoglioso di lui e di mio fratello: ancora non sa bene cosa è successo allo zio, anche se a scuola qualcosa inizia a capire. A lui, e alla sorella Greta che ha 5 anni, nel tempo spiegherò tutto».

Parliamo di Gabbo.
«Ancora ricordo il giorno in cui è entrato in casa con mamma e papà, tornati dall’ospedale. Lo guardavo per ore. È stata la persona che ho amato di più nella mia vita, insieme ai figli. I miei si separarono quando aveva 1 anno, per cui - avendo 8 anni di differenza - è stato un cucciolo che ho cresciuto. Mai avuto gelosie, è stato il mio punto di riferimento, come lo ero io per lui. Non c’è giorno, dal 12 novembre 2007, che non lo pensi: il tempo ti aiuta solo a convivere con il dolore».

Chi vi è stato più vicino in questi anni?
«So che sarà difficile credermi, ma proprio le amicizie nate allo stadio, salvo rare eccezioni. Non ci hanno mai lasciati soli».

Torniamo alle strumentalizzazioni, visto che si parla di amicizie da stadio.
«Se dobbiamo fare un discorso intellettualmente onesto, il problema nasce dalle prime notizie uscite dopo la sua morte. Addirittura si parlò di una sparatoria tra tifosi. Ma basta ascoltare la telefonata tra il 118 e la sala operativa della polizia, per capire che è stato tutto fuorviante. Sfido chiunque a dire che ogni manifestazione che è stata fatta per Gabbo negli anni dopo, sia stata violenta. Sempre nel segno della civiltà. Ringrazio ogni persona che non ha macchiato la memoria di mio fratello».

Spaccarotella, l’agente che ha sparato, si è mai scusato con voi?
«La cosa che mi ha colpito di più è stata la mancanza di qualsiasi rimorso. Non so se in questi anni abbia avuto una coscienza. O abbia avuto modo di capire il danno che ha causato. So che non voleva colpire Gabriele, ma ha sparato verso l’auto. Oltre ad aver tolto la vita a un ragazzo di 26 anni, ha tolto la serenità a una bella famiglia. Non ho mai avuto modo di sentirlo. Si è spesso parlato di una fantomatica lettera da lui spedita, che si sarebbe persa. Ma a noi non è mai arrivato nulla. E comunque spedirne un’altra sarebbe stato semplice».

Cosa farete l’11 novembre?
«Noi la messa a San Pio X alle ore 17, come ogni anno. La cosa bella però è che molti amici e tifosi, anche di altre squadre, senza colori e divisioni, andranno sotto la Curva Nord per ricordarlo. Luogo simbolico, a lui caro».
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