Consip, una perizia inchioda Romeo: «Scrisse lui i pizzini»

Consip, una perizia inchioda Romeo: «Scrisse lui i pizzini»
di Valentina Errante
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Sabato 18 Marzo 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 19 Marzo, 18:08

ROMA Per il perito nominato dai pm romani romani, che accusano Alfredo Romeo di corruzione e traffico di influenze, in concorso con Tiziano Renzi e l’imprenditore Carlo Russo, quel “pizzino” che indica «T.30mila al mese» è stato scritto proprio dall’imprenditore napoletano.

La relazione è stata depositata dalla procura, che indaga sull’appalto Consip da 2,7 miliardi di euro, al Tribunale del Riesame, insieme alle sentenze che raccontano i precedenti giudiziari di Romeo e la sua “attitudine” alla corruzione: nonostante le prescrizioni. Perché se il casellario di dell’avvocato è immacolato, pende sul suo conto una condanna seppellita dai tempi della giustizia. Per la procura il cosiddetto “sistema Romeo” era noto sin dagli anni Novanta, quando l’ex parlamentare Dc Alfredo Vito ha ammesso di avere ricevuto dall’imprenditore 4 miliardi di lire. Una mega corruzione in piena tangentopoli.

LA PERIZIA
Per gli avvocati di Alfredo Romeo quei “pizzini”, raccattati dai carabinieri del Noe dai secchi della spazzatura a due passi dall’ufficio di via della Pallacorda, erano inutilizzabili come prove, perché acquisiti in violazione del codice di procedura penale. E invece, dopo le precisazioni del Tribunale del Riesame, per il quale i foglietti sono elemento di prova, arriva anche una perizia calligrafica a confermare la tesi della procura che i legali avevano tentato di contrastare: quelli sono gli appunti di Salvatore Romeo. Il procuratore Mario Palazzi, titolare del fascicolo Consip, si è rivolto a un esperto che ha analizzato quei foglietti di carta che l’imprenditore napoletano preferiva usare, dopo avere intuito delle indagini in corso e di possibili intercettazioni nel suo ufficio. Durante le conversazioni scriveva per sottrarsi all’ascolto. Lo studio sui frammenti, assemblati dai militari, conferma: a tracciare quella T (che per i pm di Napoli, titolari di un filone delle indagini) indicherebbe proprio il padre dell’ex premier è stato Romeo, è stato l’imprenditore. Così come gli altri tratti di penna sui foglio: “5 mila ogni due mesi a CR”. (Carlo Russo).

LE SENTENZE
La prima sentenza prodotta dai pm è dell’ottobre del 2000, quando la Corte di Cassazione ha dichiarato prescritto il reato, annullando la decisione della Corte d’Appello di Napoli che condannava Romeo a due anni e sei mesi, prima i giudici avevano derubricato la contestazione da corruzione propria ad impropria. Ma i pm sottolinenano che agli atti rimangono però le dichiarazioni di Alfredo Vito, che aveva ammesso di avere ricevuto da Romeo 4 miliardi delle vecchie lire. La cifra pagata da Romeo per un appalto da cento miliardi di lire. L’altra sentenza, depositata al Riesame, risale, invece, a gennaio 2014. I giudici, in quell’occasione, hanno dichiarato estinto il reato di violazione dei sigilli aggravato. Il quell’occasione, l’imprenditore napoletano era stato condannato a tre anni e tre mesi di reclusione. Ma i giudici guardano anche alle motivazioni della sentenza che ha spazzato via l’inchiesta del 2008, quella che aveva travolto la “Global service” e portato Romeo in carcere. L’imprenditore ne è uscito pulito, ma la Cassazione sottolinea che il Comune di Napoli era venuto meno ai «doveri di imparzialità», nell’assegnazione degli appalti.

LE INDAGINI
Intanto le indagini vanno avanti. Nei prossimi giorni i pm di Roma convocheranno Michele Emiliano che, a due anni di distanza, ha rivelato di avere conservato alcuni sms che dimostrerebbero le pressioni dell’imprenditore Carlo Russo per portare promuovere gli affari di Alfredo Romeo. Sul cellulare di Emiliano anche i messaggi del papà di Matteo Renzi su possibili attività imprenditoriali dell’avvocato napoletano. Attualmente la procura ha delegato accertamenti patrimoniali su tutti gli indagati e l’inchiesta promette ancora altre sorprese.

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