Equità e coesione per lo sviluppo. Il futuro del Paese visto da Prodi

Equità e coesione per lo sviluppo. Il futuro del Paese visto da Prodi
di Giuliano da Empoli
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Mercoledì 17 Maggio 2017, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 18 Maggio, 14:55
Ci sono almeno tre ragioni per leggere il libro di Romano Prodi in uscita nelle librerie in questi giorni. La prima è che non contiene alcun genere di rivelazione, di aneddoto o di polemica. Si sente che il suo autore ha volutamente evitato gli argomenti e le considerazioni che avrebbero potuto guadagnargli un lancio d’agenzia, un battibecco in televisione o un retroscena sulle pagine politiche dei quotidiani. Non ci sono nomi propri, nel libro-intervista al Professore, curato da Giulio Santagata e Luigi Scarola: solo temi, ragionamenti e proposte. Non è poco, di questi tempi. E dovrebbe essere l’occasione benvenuta per interrompere almeno per un momento il reality show permanente che ha preso il posto, nel nostro Paese, del dibattito pubblico, rimettendo al centro le questioni vere, quelle sulle quali si gioca il futuro dell’Italia. 

In secondo luogo, il libro di Prodi affronta il tema epocale della diseguaglianza e quello della crisi che stiamo attraversando, in tutta la loro complessità, ma lo fa con la semplicità del maestro che si rivolge ad una classe di studenti, la stessa che aveva conquistato, più di venticinque anni fa, il pubblico televisivo delle sue lezioni di economia. Così, il ruolo di supplenza assunto dalla Banca Centrale Europea rispetto alla latitanza delle istituzioni che avrebbero dovuto dare una risposta politica alla crisi, viene riassunto in questi termini: “si può affermare che la Bce ha il potere di fabbricare dei paracadute, ma non di costruire degli aeroplani”. E quando passa ad esaminare la struttura del sistema industriale italiano, fatto di pochissime imprese di grandi dimensioni e di una fascia di medie imprese che sono le uniche a poter competere con le multinazionali straniere, Prodi scrive: “Non abbiamo né armi atomiche (come Google, Apple, Alibaba, Amazon) né corazzate (le tradizionali imprese multinazionali come Volkswagen, Nestlé, Siemens e così via) per lottare con successo nella nuova globalizzazione. Possiamo solo disporre di alcune centinaia di soldati, molti dei quali peraltro agili e capaci di rendersi conto di come stanno le cose”.

L’INTERESSE
Il principale interesse del libro di Prodi, però, sta nel tentativo di proporre un certo numero di soluzioni. In genere, i libri che affrontano scenari planetari dedicano circa il 90% dello spazio all’analisi, più o meno convincente, dei problemi, liquidando nelle ultime pagine l’indicazione di generiche piste di lavoro sul che fare. Il più delle volte, oltretutto, rifugiandosi nei pii desideri degli accordi globali e delle svolte europee. Nulla di tutto questo nel libro di Prodi. 

Qui, le soluzioni fanno la parte del leone e si tratta di ricette italiane: cose da fare qui e ora, in attesa che i tedeschi cambino la loro visione del mondo e che la concordia universale torni a regnare tra i popoli. Al centro delle preoccupazioni dell’autore c’è la crescita. Con un aumento del PIL tra il 2 e il 3 per cento all’anno, scrive, potremmo prosciugare le sacche di disoccupazione che si sono allargate con la crisi e contemporaneamente migliorare la qualità del lavoro con misure adeguate. 

Il modello che ha in mente Prodi è un sistema - vogliamo chiamarlo “europeo”, nel senso migliore del termine? - nel quale la coesione sociale non è un optional, bensì il cuore dello sviluppo, in quanto garantisce una maggiore partecipazione al lavoro e una crescita dei livelli di consumo delle famiglie, meno assillate dall’incertezza sul futuro. Per centrare l’obiettivo, il Professore propone una serie di misure, che vanno dal ripristino delle tasse di successione come “tassa di scopo destinata alla valorizzazione delle nuove generazioni”, all’adozione del sistema dei Fraunhofer, i centri di ricerca tedeschi che promuovono l’applicazione delle nuove tecnologie alla produzione industriale: in Germania ce ne sono sessanta, con 18 mila tra ricercatori e ingegneri, ma da noi si potrebbe iniziare con “almeno cinque o sei”, scrive Prodi.

Non tutte le ricette sono condivisibili (siamo proprio sicuri che in Italia esistano i margini per un inasprimento della pressione fiscale, a qualsiasi titolo? Prodi ne sembra convinto, l’autore di questa recensione un po’ meno…). Ma è difficile non condividere lo sforzo di ricostruire una visione per il futuro del Paese che ribalti il piano inclinato sul quale siamo scivolati e rimetta finalmente le classi medie al centro di un modello di sviluppo sostenibile e coesivo.
 
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