Romani che amano Roma/Paolo Genovese: «Città tradita e delusa, ora una cura d’amore»

Romani che amano Roma/Paolo Genovese: «Città tradita e delusa, ora una cura d’amore»
di Mario Ajello
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Venerdì 27 Maggio 2016, 00:51 - Ultimo aggiornamento: 29 Maggio, 13:29
I romani che amano Roma. Ce n’è uno, Paolo Genovese, il regista di «Perfetti sconosciuti», che si è dato un imperativo morale, a cui resta fedele: «Mi rifiuto di guardare alla nostra città con gli occhi della tragedia. Se dovessi fare un film su Roma, anche se tutti i miei film parlano di Roma, mi piacerebbe raccontare le cose che vanno bene. Il mio sogno è che tutta la città funzionasse come quei piccoli scorci di città che funzionano». 

La colonna sonora di questo film sarebbe un malinconico blues?
«Ma no! Nessuna tristezza. La storia di cui Roma ha bisogno è una storia d’avventura e la musica giusta sarebbe uno swing rivisitato: qualcosa che dia ritmo, qualcosa che abbia radici antiche ma molto moderna. Come la nostra città». 

Alla vigilia delle elezioni vede Roma in preda alla rabbia? 
«Vedo Roma profondamente delusa. Del tutto priva di entusiasmo politico e senza alcuna fiducia nel voto come forma di cambiamento. Questa è la vera differenza rispetto al passato. Ci sono stati momenti, in questa città e nel resto d’Italia, in cui si è dato al voto la forza della speranza. Ciò purtroppo non c’è più». 

E’ tentato dall’astensionismo? 
«Tutt’altro. Sto dicendo queste cose con la morte nel cuore. Guai non andare a votare. Ora più che mai si deve partecipare alle elezioni. Perchè un voto massiccio comunque crea una forte responsabilità in chi viene votato e in chi viene eletto. Roma ha bisogno di nuova passione politica e di buona politica». 

Ma non è stata propria la politica a tradire la città?
«Io non sono di quelli che dicono: piove governo ladro! Credo che anche noi cittadini abbiamo le nostre responsabilità, per esempio quella dell’indifferenza e della rassegnazione, ma non dispero. C’è una cosa capace di smuoverci e anche di riattivare la passione politica nel senso alto e ideale dell’espressione. E questa cosa è l’amore per Roma. Noi viviamo troppo poco la nostra città e l’amore si alimenta di abitudine. Se non c’è l’abitudine, c’è un deficit di amore e ci ritroviamo tutti nella condizione in cui siamo precipitati negli ultimi anni». 
 
Tra i romani e Roma c’è un rapporto da “perfetti sconosciuti”?
«E’ una tendenza che va contrastata con ogni forza. Per quanto mi riguarda, quando vado fuori e poi torno a Roma sono preso da due sentimenti. Uno è quello della gioia per essere tornato nella mia città. L’altro attiene a una constatazione semplice: quanto poco ci vorrebbe a far funzionare Roma come le altre grandi capitali. Penso a Parigi, per esempio: dove la sua parte storica viene valorizzata davvero, con grande consapevolezza storico-culturale, mentre da noi non è così». 

Quali sono i grandi problemi di Roma? 
«Non sono i quartieri intermedi, come il Nomentano, Prati, l’Aventino o l’Africano, che è il quartiere dove sono nato e cresciuto. Andavo alla scuola Montessori di Santa Maria Goretti e poi, al liceo, poco più in là lungo corso Trieste: al Giulio Cesare. Roma soffre nel suo centro storico e nella sua estrema periferia. Il centro è diventato un parcheggio di macchine, sporco da fare schifo e pieno di buche. E pensare che dovrebbe essere il posto più bello del mondo». 

E le periferie, lei le frequenta? 
«Moltissimo. E quando devo andare a Ostia o in altri luoghi per me lontani, per fare sopralluoghi per i miei lavori, parto da casa un po’ prima con il motorino. E vago nei quartieri che non conosco. Di solito alla ricerca di bar che fanno buoni cornetti». 

Lungo il tragitto, dentro quante buche finisce con il suo scooter? 
«Mi capita spesso, maledette buche! E le posso assicurare: sono peggiori le buche di piazza Venezia che quelle di Tor Bella Monaca. Quello che volevo dire, comunque, è che il centro storico non è valorizzato, basti pensare alla bellezza non frequentata del Tevere, e l’estrema periferia è dimenticata. Sembra che siamo tutti rassegnati a questa intollerabile situazione». 

Il proverbiale scetticismo romano non è diventato rabbia? 
«Magari lo fosse diventato. Mi sembra fin troppo tranquillo il romano. Fin troppo passivo». 

Nonostante tutto ciò lei non riesce ad essere pessimista? 
«Sono ottimista». 

Dica la verità lo fa per gioco, per essere diverso dagli altri. 
«Non è così. Sono ottimista semplicemente perchè la nostra città, essendo la più bella del mondo, ha potenzialità che non può negare troppo a lungo a se stessa. Per me, Roma somiglia a quel figlio talentuoso ma svogliato. Speri che comunque prima o poi ce la farà. E molto spesso succede».

(1 - Continua)
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