Roma, smart ma non troppo per ambiente e banda larga

Roma, smart ma non troppo per ambiente e banda larga
di Andrea Andrei
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Lunedì 25 Luglio 2016, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 15:36
Roma guadagna posizioni nella classifica mondiale delle città intelligenti, le cosiddette “smart cities”, ma c’è ancora parecchio da lavorare. Il Networked Society Index 2016, lo studio realizzato da Ericsson che prende in esame le prestazioni di 41 città su scala mondiale, lo spiega chiaramente: la Capitale occupa il 19esimo posto della classifica, posizionandosi quindi quasi a metà della lista. Un risultato non certo entusiasmante, visto che tutte le grandi città europee, ad eccezione di Mosca e Atene, la precedono. La buona notizia è che però la situazione sta migliorando: nella classifica dell’anno scorso la Città Eterna era al 21esimo gradino. Neanche a dirlo, al primo posto si piazza Stoccolma, seguita da Londra, Singapore, Parigi, Copenhagen, Helsinki, New York, Oslo, Tokyo, Seoul.

IL TERMINE
Per spiegare cosa voglia dire in pratica questo indicatore bisogna partire dalle basi. Ormai lo sappiamo cosa vuol dire “smart”, e ci siamo abituati ad associare questo termine a vari tipi di oggetti e dispositivi, a cominciare dai cellulari (smartphone), passando per gli orologi (smartwatch), fino alle auto (smartcar) e alle stesse case (smarthome), con i loro elettrodomestici (lavatrici, frigoriferi, specchi) che sono connessi al web e che così riescono anche ad autoregolarsi o a essere utilizzati a distanza. Insomma, ormai è tutto un po’ smart, connesso e intelligente. Ma quand’è che una città intera può definirsi “smart”? Riassumendo, potremmo dire semplicemente che un Smart City è una città in cui le infrastrutture sono adeguate e i cittadini possono avere facilmente informazioni che permettono loro di migliorare il proprio stile di vita.

 

L’APPROCCIO
Esistono tuttavia diverse prospettive per misurare quello che potremmo definire il “quoziente intellettivo” di una città. Quelle di Ericsson sono lo sviluppo urbano sostenibile, che si basa sulla “triple bottom line” (Tbl) - che prende in considerazione gli investimenti per lo sviluppo economico, sociale e ambientale - e sulla maturità delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Ict), che include l’infrastruttura, l’accessibilità e l’utilizzo.

Ebbene Roma fa registrare una buona performance nell’ambito dello sviluppo urbano sostenibile, mentre nel settore della maturità Ict è ancora parecchio indietro. A pesare su questo dato, rileva Ericsson, è soprattutto l’arretratezza dell’infrastruttura per la banda ultra larga e gli scarsi hotspot wi-fi. Quest’ultima è infatti una condizione fondamentale per poter competere con le altre città europee. Senza contare la bassa penetrazione di smartphone e lo scarso uso di internet. In compenso almeno le tariffe per la banda fissa e quella mobile sono convenienti in relazione agli stipendi medi.

Dal punto di vista della performance economica, se il lavoro specializzato è il fiore all’occhiello della Città Eterna, il livello di educazione nel settore terziario risulta essere sotto la media. Da un punto di vista sociale, l’aspettativa di vita è buona (i romani vivono 7 anni più della media), ma la disoccupazione resta alta. Roma non brilla neppure per l’impatto ambientale: produce un’alta quantità di diossido di azoto e la raccolta differenziata non funziona a dovere.
Insomma, un quadro abbastanza complicato. Soprattutto se si considera che a livello nazionale la situazione non migliora, anzi. Secondo un altro studio, lo Smart City Index 2016 di Ernest & Young, la Capitale si piazza solo al nono posto di una classifica dominata da Bologna, Milano e Torino. Si piazzano meglio anche Parma, Trento, Brescia e Reggio Emilia.

LA RICETTA
Chiaramente, esiste una correlazione positiva tra lo sviluppo sociale ed economico e la crescente maturità Ict delle città. Non solo perché le tecnologie dell’informazione e della comunicazione danno impulso al mercato del lavoro e alla qualità della vita delle persone, ma anche perché, grazie a mezzi più all’avanguardia è possibile far sì che lo sviluppo economico e industriale non si ripercuota sull’impatto ambientale.

La ricetta la spiega Erik Kruse, capo di Ericsson Networked Society Lab: «UN-Habitat stima che il 70% della popolazione mondiale vivrà nelle aree urbane entro il 2050. Fino ad oggi molte iniziative delle smart city hanno utilizzato l’Ict principalmente per ottimizzare gli esistenti sistemi e comportamenti, come per esempio il trasporto intelligente. Le città hanno invece bisogno di ripensare le strutture esistenti affinché “smart” sia in realtà sostenibile. La città del futuro è caratterizzata da resilienza, collaborazione, partecipazione e mobilità, essenziali per garantire che le nostre città siano luoghi attraenti, sostenibili e vibranti». Una sfida che Roma deve saper cogliere.

andrea.andrei@ilmessaggero.it
 
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