Roma, non si veste all’occidentale: pestata dal marito islamico

Roma, non si veste all’occidentale: pestata dal marito islamico
di Marco Carta
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Martedì 20 Giugno 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 21 Giugno, 14:39

«Fai quello che dico o ti ammazzo». Voleva che sua moglie vestisse all’occidentale, come le donne europee. Tacchi a spillo, gonne più corte e jeans aderenti. Qualsiasi cosa andava bene per Rabiul Islam Mamun, 36enne originario del Bangladesh. Tutto tranne il «sari», il tradizionale abito indossato dalle donne bengalesi, l’elegante tunica di stoffa, generalmente colorata, di cui sua moglie Shaila (il nome è di fantasia ndr) non voleva fare proprio a meno. Neanche di fronte alle botte. Perché quella di suo marito, più che un’esigenza estetica, era una vera e propria ossessione. Un assillo, che di fronte al rifiuto costante della donna di rinunciare agli indumenti tradizionali, anche per motivi religiosi, si è trasformato presto in incubo. Insulti e aggressioni fisiche e psicologiche. Colpi violenti che arrivavano all’improvviso, spesso senza un motivo. 

Percosse a cui poi seguivano le minacce di morte: «Se parli con qualcuno ti ammazzo». Per due anni, a partire dal 2014, nella loro casa di Torpignattara, alla periferia della Capitale, le cose sono andate così. Lui che perde la testa e la colpisce, lei che cerca di difendersi e non denuncia. Anche quando, come nel luglio 2015, si ritrova al pronto soccorso dopo l’ennesima lite. Una scarica di colpi violenti e una prognosi di 7 giorni. Fra loro i diverbi sono all’ordine del giorno, ma il punto di non ritorno arriverà solo un anno dopo il 26 giugno 2016. Rabiul è stato fuori casa tutto il giorno e quando rientra, senza alcuna ragione, si avventa sulla moglie. 

IL RACCONTO
«Mi ha messo un cuscino in faccia - ha raccontato ieri la donna in un’aula di tribunale come parte offesa - Voleva soffocarmi». La pressione dell’uomo sul volto della donna è notevole: «Oggi ti ammazzo», le grida. Ma lei riesce a divincolarsi. Il terrore, però, non è ancora finito. In mano l’uomo ha un coltello da cucina con cui la minaccia di morte. «Non devi parlare con nessuno», le intima, mentre fa scivolare la lama sulla sua guancia. Shaila rimane ferita, le viene anche diagnosticata una malattia sul dorso del naso guaribile in 5 giorni, ma reagisce. 
Trova il coraggio di denunciare il marito e va via di casa. Rimasto solo, Rabiul non si scusa per il suo comportamento violento. Al contrario riprende a minacciare la donna. «Se non ritorni a casa ti faccio del male e metto le tua foto senza veli su Facebook», le dice lui. 

IL RICATTO
Ma il ricatto non funziona. Shaila, infatti, non cede alle pressioni e integra la denuncia del giorno prima. Accusato di maltrattamenti in famiglia, stalking e lesioni personali, ieri per Rabiul è arrivata la condanna a 2 anni e sette mesi, a fronte della richiesta di 3 anni di reclusione avanzata dal pm d’aula Filomena Angiuni. Per la donna è la fine di un incubo, mentre per Rabiul rischia ora di aprirsi un altro capitolo giudiziario. Perché in procura sono stati inviati gli atti in cui compaiono altre lesioni subite dalla donna nel corso del tempo.

Episodi non refertati nel capo d’imputazione, che pesano ancora come macigni nella memoria di Shaila. Picchiata e terrorizzata dal marito solo per non aver voluto rinunciare alla sua cultura.

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