Renzi: prove di scissione Pd. Basta agguati, così dritti al voto

Renzi: prove di scissione Pd. Basta agguati, così dritti al voto
di Marco Conti
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Mercoledì 10 Dicembre 2014, 22:15 - Ultimo aggiornamento: 11 Dicembre, 08:55
«Avevano preso un impegno e non lo hanno mantenuto. Andranno sotto in aula alla Camera, non vale la pena di arrabbiarsi. Andiamo avanti». Matteo Renzi tiene a freno i suoi, ma è furibondo per quel gruppetto di deputati del Pd che in commissione ha mandato sotto il governo. Non è l’emendamento in sé a preoccuparlo, quanto il segnale politico che la minoranza della minoranza del Pd ha voluto dare. «I soliti», come li definisce il premier, hanno il nome di D’Attorre, Agostini, Lattuca, Meloni, Pollastrini, Bindi Cuperlo e Lauricella. L’irritazione è forte specie per gli ultimi tre, componenti dell’ufficio di presidenza

«Ma come, stiamo prendendo fango per loro (Roma ndr) e questo è il ringraziamento? Uno sgambetto? Altro che ”ditta“, accordo violato con agguato pensato a tavolino che mette a rischio tutto». Tra i renziani, riuniti in serata a palazzo Chigi, è forte la tentazione di chiuderla qui votando il Mattarellum: «Facciamo le liste e poi vediamo che succede».



TRADITORI

Renzi getta acqua sul fuoco anche se non si trattiene: «Pensano di intimidirci, ma non mi conoscono si divertono a mandarci sotto per far vedere che ci sono, che esistono, anche a costo di votare con Grillo e Salvini». Nel giorno dell’attacco del leader del M5S a Giorgio Napolitano, l’associazione tra Cuperlo e company con Grillo diventa ancor più indigesta, anche perché il premier ha chiesto ai suoi parlamentari di difendere a spada tratta il capo dello Stato.



Nello scontro tutto interno al Pd il presidente del Consiglio non si tira indietro e sembra quasi voler provocare il gruppetto ad essere coerente anche in aula. Ciò che potrebbe succedere dopo lo racconta il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti che evoca le urne subito. Un’eventualità che atterrisce prima di tutto proprio i dissidenti dalle plurime legislature (Bindi e Pollastrini in testa), pronti anche a costituire un altro partito pur di non rimanere fuori.

«L’incidente di percorso», come viene derubricato a palazzo Chigi, è però destinato ad avere conseguenze immediate. Un assaggio potrebbe esserci domenica all’assemblea del Pd che si terrà a Roma e nella quale Renzi potrebbe lanciare una sorta di ultimo avvertimento ai dissidenti, i primi a temere il voto anticipato e i primi, per Renzi, «a provocarlo». Unire i voti del Pd a quelli di Sel e ai dissidenti di Forza Italia, è però un messaggio che, seppur non destinato a ripetersi, punta a mettere in crisi il patto del Nazareno che invece - secondo i contraenti - dovrebbe sprigionare i suoi effetti fino all’elezione del capo dello Stato.



OCCHIO

Alla tentazione dei renziani di rovesciare il tavolo e andare a votare, il presidente del Consiglio replica invitandoli alla pazienza. «Calma, vedremo poi in aula chi ha i numeri. Il loro obiettivo è solo quello di far deragliare le riforme, ma se falliamo noi arriva la troika. Visto quello che dice Juncker?». L’avvertimento è pesante, frutto di una giornata spesa dal presidente del Consiglio sul fronte economico con una fitta serie di riunioni (legge di stabilità, Ilva, Eni, Saipem) e di incontri (Fmi-Lagarde e il premier serbo Vucic). Con un occhio ai mercati e a ciò che succede in Grecia e a Bruxelles.



Il segretario del Pd avverte la tentazione della scissione e il rischio che l’assemblea di domenica si tramuti in una resa dei conti. «Scherzano con il fuoco», sostiene Deborah Serracchiani, vicesegretario del Pd e da tempo impaziente nel voler regolare i conti una volta per tutte «con chi ha perso le elezioni e il congresso». In questo crescendo di tensione, si avverte il peso che palazzo Chigi sopporta per le vicende romane che stanno zavorrando la strategia renziana tesa ad accreditare in Europa la volontà di cambiare del nostro Paese e che, invece, si trova ancora una volta a fare i conti con le proprie contraddizioni.