Bce, il bazooka di Draghi premia Berlino

Bce, il bazooka di Draghi premia Berlino
di Roberta Sommella
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- Ultimo aggiornamento: 4 Gennaio, 12:50
Molto di più di una goccia nel mare ma non le cascate del Niagara. È la fotografia degli effetti benefici del Quantitative Easing della Bce sulle principali economie europee a quasi un anno dal suo lancio. Il bazooka di Mario Draghi, imbracciato a fine gennaio del 2015 e ora prolungato fino al 2017 per una gittata totale di oltre 1.500 miliardi di euro di iniezione di liquidità attraverso il riacquisto di titoli di stato, sta sortendo alcuni effetti. 

I principali detrattori dello strumento di politica monetaria sostengono che il QE per ora ha ottenuto l’effetto di indebolire l’euro rispetto al dollaro e alleggerire i bilanci bancari, troppo appesantiti dalla mole di titoli pubblici in pancia, senza però comportare ricadute dirette sulla crescita, sull’occupazione e sui prezzi nell’Ue. Effettivamente, considerando che il Quantitative Easing europeo, rispetto a quello americano, non ha per statuto la possibilità di acquistare praticamente sul mercato primario i bond sovrani, questa analisi resta efficace, se è vero che le ultime proiezioni per il 2016 prevedono un Pil dell’Eurozona intorno all’1,7%, una disoccupazione stabile quasi al 12% e prezzi bloccati vicino all’1%; tutti livelli ben lontani, quasi la metà, dagli analoghi indicatori americani fissati. 

IL CONFRONTO
Ma, conti alla mano delle principali economie comunitarie, si scopre anche che qualche germoglio di ripresa sta spuntando, grazie proprio alla politica di Francoforte. Confrontando le principali variabili nel primo mese del 2015 (anno del varo del bazooka) con le ultime disponibili, sempre dello stesso anno, si scopre che persino la Grecia, nonostante sia caduta in recessione (a fine 2014 il Pil era a + 0,6% quest’anno dovrebbe calare dello 0,9%) e abbia un debito pubblico quasi insostenibile (passato dal 177,1% del Pil al 194,8% del Pil) ha goduto per il mini-euro registrando un aumento delle esportazioni (da 1,5 a 2,1 miliardi di euro) e una leggerissima riduzione della disoccupazione (da 25,9% a 24,6%). In questo caso si tratta di miglioramenti quasi impercettibili. 

I BENEFICI
Lo stesso non si può dire per gli altri paesi, dove spicca la Germania tra i principali benefattori del nemico Draghi. Ebbene sì, proprio quella Germania che attraverso la Bundesbank si è spesso schierata contro le politiche espansive dell’Eurotower ed ogni forma di mutualità, è quella che ha messo a segno da inizio a fine 2015 i risultati migliori. Il Pil tedesco è aumentato dal +1,4% di inizio anno al +1,7%, il debito pubblico è diminuito dal 74,3% del Pil al 71,9%, la disoccupazione è a livelli americani (è scesa in un anno di QE dal 6,5% al 6,3%) e le esportazioni hanno registrato un boom: in 12 mesi sono passate da un saldo attivo di 90 miliardi di euro a un più 106 miliardi di euro. Angela Merkel può brindare soddisfatta. La domanda (senza risposta) sorge quindi spontanea: perché tanta guerra a super Mario? 

Anche la Francia si è mossa, nonostante i grandi problemi legati al terrorismo. Parigi è riuscita ad uscire dalle secche della crescita piatta (il Pil è passato da +0,1% di fine 2014 a +1,1% di fine 2015) ha fatto un passettino in avanti nell’export (da +36,8 miliardi a 37,2 miliardi) anche se la disoccupazione resta sostanzialmente stabile e il debito è in crescita (da 95,5% del Pil a 97,1% del PiI). La Spagna, fresca di instabilità politica post-elezioni, grazie alla svalutazione della moneta unica ha migliorato il suo saldo export da 17,8 a 22,1 miliardi di euro mentre il Pil va verso un più 3,4% dal +2,1% del 2014 (il debito, invece è risalito sopra il 100% del Pil). E l’Italia di Matteo Renzi? Anch’essa deve dire in qualche modo grazie al presidente della Banca centrale europea, che oltre ad aver messo in sicurezza sotto il suo ombrello un debito pubblico monstre (che continuerà a salire nel 2015 al 133% del Pil per poi scendere) con la leva monetaria accomodante l’ha fatta in qualche modo ripartire. 

I CONTI 
Il Pil del nostro paese nell’anno del QE è passato da un meno 0,4% del 2014 a un probabile +0,8%, la disoccupazione è calata dal 12,4% all’11,5%, le esportazioni hanno un saldo attivo in aumento (da 33,5 miliardi a 33,8 di fine ottobre 2015), lo spread Btp-Bund vede di nuovo quota 100 dopo aver cominciato il 2015 a 120 punti base. A parte la Bce, anche la cura Renzi qualche effetto lo sta dando. Le stesse variabili, prese invece nel febbraio del 2014 (mese dell’insediamento dell’ex sindaco di Firenze a Palazzo Chigi) e a fine 2015, mostrano infatti una tendenza positiva: il Pil è passato da un meno 1% ad un più 0,8%, la disoccupazione è scesa dal 12,7% all’11,5%, l’export è salito da 33 a 33,8 miliardi, il differenziale di interessi con i lander si è quasi dimezzato. 
Ripartiamo grazie a Mario o a Matteo? Direi tutti e due. Senza sarebbe andata peggio, soprattutto per Berlino.
 
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