Quando il rituale fa l’artista, in un libro i tic dei grandi scrittori, pittori e musicisti

Quando il rituale fa l’artista, in un libro i tic dei grandi scrittori, pittori e musicisti
di Giorgio Biferali
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Sabato 6 Febbraio 2016, 23:55 - Ultimo aggiornamento: 8 Febbraio, 11:14
Ogni mattina, prima di alzarsi e cominciare la giornata, Flaubert rimaneva a letto per un po’ a parlare con sua madre. Joyce si confessava con il suo sarto polacco e poi si metteva a cantare, mentre suonava il pianoforte. Fellini andava su e giù per la casa, mettendola sottosopra, e alle sette cominciava a telefonare ai suoi amici, che ormai lo scambiavano per una sveglia. Freud, prima di incontrare i suoi pazienti, si faceva preparare i vestiti dalla moglie e riceveva un barbiere per farsi spuntare la barba. Miró, tra un colore e l’altro, faceva un’ora di ginnastica o di boxe, e spesso andava anche a correre. Beethoven contava uno a uno i chicchi di caffè nella sua tazza, che non dovevano essere più di sessanta, e poi si denudava davanti al lavabo, versandosi secchiate d’acqua sulle mani e intonando la scala musicale dagli alti ai bassi e viceversa. Questi sono solo alcuni dei centocinquantuno ritratti che lo scrittore americano Mason Currey ha raccolto in Rituali quotidiani, appena pubblicato da Vallardi (pp. 270, 15,90 euro). 

 

PRODOTTO
«Il mio è un libro superficiale – racconta Currey nell’introduzione – che non parla tanto del prodotto artistico quanto delle circostanze dell’atto creativo, e che s’interessa più ai processi di produzione che ai contenuti». Ma forse per capire meglio i personaggi di un romanzo, di un film o la tavolozza dei colori di un quadro, o almeno per guardarli con occhi diversi, bisognerebbe conoscere il suo autore, spiarne le abitudini, i vizi, le debolezze, le goffaggini, e magari scoprire i tratti di quelle opere dietro cui si nasconde la vita. 

Chi sceglie la via dell’arte, che si tratti di un pittore, di un regista o di uno scrittore, ha una vita più incerta, con dei guadagni più bassi, non è costretto a uscire di casa ogni mattina per andare in ufficio, e con il passare del tempo si accorge di essere diventato il datore di lavoro di se stesso. Ma questo non significa che non abbia orari, che dorma sempre fino a tardi e che passi le sue giornate a bighellonare. Auden, che si alzava alle sei del mattino, dopo aver bevuto il caffè e dedicato qualche minuto alle parole crociate, lavorava fino alle undici e mezza, e controllava l’orologio in continuazione. Amava lavorare di giorno, e diceva che «solo gli Hitler del mondo lavorano di notte, i veri artisti non lo fanno». 

GLI ORARI
Simone De Beauvoir, oltre a essere sempre la prima a leggere e a giudicare le opere di Sartre, con cui aveva una relazione aperta, scriveva dalle dieci del mattino fino all’una, e poi dal pomeriggio fino alle nove di sera. Mozart componeva dalle prime luci del mattino fino alle nove, poi dava lezioni di piano fino all’ora di pranzo, e se non era impegnato in qualche concerto riprendeva la sua musica fino alla sera. Gli piaceva comporre anche prima di addormentarsi. «Nel complesso – diceva – sono così occupato che spesso non so neanche come riesco a stare in piedi». Van Gogh passava tutto il giorno davanti a una tela, dipingendo ininterrottamente dalle sette del mattino fino al tardo pomeriggio, ed era così stanco che si coricava subito dopo aver cenato. 

LA SOFFERENZA
E questi artisti, per dare un po’ di colore al tempo e per addolcire la nascita delle proprie idee, si affidavano a dei vizi, a delle stranezze, a delle piccole ossessioni che diventavano come dei rituali, con i quali costruivano la propria routine. Proust e Capote erano due scrittori “orizzontali”, che riuscivano a scrivere solo quando erano sdraiati su un letto. Il primo appoggiato su un gomito e sostenuto solo dalla luce fioca di un abat-jour, perché la scrittura doveva venir fuori dal dolore e dalla sofferenza, il secondo con caffè e sigarette a portata di mano. Hemingway, invece, scriveva in piedi, e poggiava la sua macchina da scrivere su una libreria che gli arrivava al petto. Kafka, che la mattina lavorava in ufficio, di pomeriggio si riposava un po’. Quando si risvegliava, alle sette e mezza di sera, faceva ginnastica nudo, con la finestra spalancata, e poi andava a passeggiare con il suo amico Max Brod. Simenon metteva sulla porta un cartello con su scritto “non disturbare”, teneva in tasca dei tranquillanti che assumeva prima di cominciare un nuovo romanzo, e soprattutto faceva sesso ogni giorno. Al suo amico Fellini aveva confessato di aver avuto ottomila donne, e che senza quelle avventure non avrebbe mai potuto creare tutti quei personaggi femminili. 
 
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