Pensioni, assegno ridotto: pesa ancora l’effetto crisi

Pensioni, assegno ridotto: pesa ancora l’effetto crisi
di Luca Cifoni
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Martedì 28 Novembre 2017, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 29 Novembre, 12:27
All’inizio, sei anni fa, l’impatto della legge Fornero si era fatto sentire soprattutto su chi aveva scoperto di dover andare in pensione anche 4-5 anni dopo rispetto alla data prevista e magari si era ritrovato nella sfortunata schiera degli esodati. Ma c’è un’altra parte fondamentale di quella riforma delle pensioni i cui effetti, all’inizio praticamente nulli, crescono gradualmente nel tempo: è il passaggio di tutte le pensioni al metodo di calcolo contributivo. Un passaggio che riguarda non i requisiti richiesti per accedere al trattamento previdenziale ma l’importo dell’assegno, e che avviene pro rata, ovvero tenendo conto solo degli anni di carriera lavorativa successivi allo spartiacque del primo gennaio 2012. Da allora però di anni ne sono passati ormai quasi sei e il nuovo metodo di calcolo inizia a farsi sentire anche sulle pensioni di chi complessivamente ha versato contributi per 35-40 anni. Naturalmente l’impatto è destinato a crescere nel tempo, a mano a mano che l’incidenza della “porzione” contributiva diventa più significativa rispetto al totale. E diventano quindi sempre più rilevanti i due fattori che condizionano l’importo della pensione contributiva: l’andamento del Pil nominale, dato dalle crescita reale dell’economia e dall’inflazione, e l’evoluzione delle tendenze demografiche (che con l’adeguamento alla speranza di vita influiscono anche sui requisiti di età e di anzianità per l’uscita, al centro dello sconto di queste settimane).

LA RECESSIONE
Quanto al primo aspetto, si può dire subito che il passaggio al nuovo metodo di calcolo è avvenuto in un momento piuttosto particolare, ovvero nel pieno della seconda grave recessione dopo quella del 2008-2009. Una tendenza che ha inciso negativamente sulla rivalutazione del cosiddetto “montante contributivo”. Questa avviene sulla base del Pil nominale: proprio per evitare sbalzi bruschi legati alla caduta della produzione era stato deciso a suo tempo di usare non il dato annuale ma la media mobile quinquennale. Nonostante ciò, dal 2012 in poi i tassi sono risultati appena positivi ed anzi una volta sono scivolati in territorio negativo: il che ha reso necessaria una apposita norma di legge per stabilire che in un caso del genere il montante non si riduce ma resta uguale a se stesso, senza rivalutazione.

Quanto ha pesato tutto ciò sull’importo delle pensioni? La domanda può avere senso se si sceglie un ipotetico scenario alternativo migliore, che naturalmente non si è realizzato. Prendiamo ad esempio i valori di crescita del Pil e di inflazione che il governo italiano ipotizza nelle proprie previsioni di lungo periodo sull’andamento della spesa previdenziale: non sono cifre roboanti ma certo migliori di quelle che si sono effettivamente concretizzate negli anni della crisi: per il prodotto è indicato un incremento reale dell’1,2 per cento l’anno che sommato ad un andamento dei prezzi al 2 per cento produce un aumento del Pil nominale appena sopra al 3,2 per cento. Se l’economia italiana avesse tenuto negli anni scorsi questo ritmo, l’assegno pensionistico di chi lascerà il lavoro a gennaio del prossimo anno - avendo alle spalle appunto sei anni di calcolo contributivo - sarebbe visibilmente più alto di quello che invece si materializzerà. Di quanto? Ipotizzando un’uscita per vecchiaia a 66 anni e 7 mesi con circa 42 anni di contributi, e una retribuzione pari a circa 2 mila euro lordi al mese nell’ultimo anno, il prezzo della crisi sfiorerebbe i 20 euro lordi al mese, poco più dell’1 per cento dell’assegno complessivo pari - nella realtà - a 1.670 euro circa.

ELEMENTO DECISIVO
L’incidenza della quota contributiva aumenterà ancora con il passare degli anni, e le pensioni saranno quindi sempre più esposte nel “quantum” all’andamento dell’economia. Insieme alle tendenze demografiche, sarà proprio il Pil l’elemento decisivo non solo per la sostenibilità della spesa previdenziale ma anche per l’adeguatezza delle prestazione di cui potranno godere i lavoratori di oggi.
 
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