L’orrore di Hiroshima stringe vincitori e vinti

L’orrore di Hiroshima stringe vincitori e vinti
di Marco Conti
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Giovedì 26 Maggio 2016, 00:22
Ma voi che ne pensate in della visita che farà Obama ad Hiroshima?». «É giusto che incontri le famiglie delle vittime e i sopravvissuti?». «Perché intende farlo in questo momento?». Manca ancora qualche ora all’avvio dei lavori del G7, ma nel brulicare di giornalisti che ruotano nella sala stampa allestita per il G7, i più attivi sono quelli che compongono le troupe dei grandi broadcasting giapponesi (Nhk, Asahi, Nippon-tv). Fermano, subito dopo i controlli di sicurezza, sherpa, diplomatici e giornalisti stranieri per sapere come altrove viene giudicata la visita che per la prima volta un presidente degli Stati Uniti farà ad Hiroshima. Nel luogo dell’apocalisse nucleare, più di settant’anni dopo, arriverà infatti domani Barack Obama.

Direttamente da Hanoi, altro luogo simbolo per generazioni di americani. Per i giapponesi il G7 può dirsi di fatto concluso anche se stamattina il premier nipponico Shinzo Abe riceverà gli ospiti davanti al santuario di Ise Jungu - in una terra molto conosciuta per i templi scintoisti - e consegnerà a Renzi, come alla Merkel a Cameron a Trudeau e Hollande, una cartellina di lavoro dove ha messo un opuscolo di quindici pagine che spiega con grafici e tabelle i successi della “Abenomics”. Qui, tra una risaia e un tempio, non si parla però che di Hiroshima, della visita e di quelle scuse che Obama non intende fare dopo settantuno anni dallo sgancio di “little boy”.

 

«La visita ad Hiroshima onorerà tutti coloro che abbiamo perso nella Seconda Guerra Mondiale e ribadirà la nostra visione di un mondo senza armi nucleari», ha sostenuto ieri Obama appena arrivato dal Vietnam. Eppure quelle bombe fecero in un colpo solo duecentomila morti per lo più giapponesi ma anche coreani e cinesi. Ed è per questo che in questi giorni nei tre paesi di appartenenza delle vittime non si parla d’altro. Ma se a Seul c’è irritazione e in Cina ci si interroga preoccupati sulle mosse di Washington che arriva a levare al Vietnam l’embargo delle armi, a Tokyo e in tutto il Giappone i fiori che Obama porterà al Memoriale della Pace hanno riaperto ferite mai cicatrizzate e ripropongono domande ancora senza risposta.

RESPONSABILITÀ Il Giappone è un Paese che ha avuto nella Seconda Guerra Mondiale due milioni e mezzo di morti ma che non ha ancora chiarito le responsabilità di una guerra, fatta in parte in alleanza con Italia e Germania, che l’imperatore Hirohito ha dichiarato chiusa il 15 agosto del ‘45 senza mai pronunciare la parola resa. Si dice che ad impressionare Hirohito non furono tanto le due bombe nucleari che all’inizio fecero meno morti dei bombardamenti alleati su Tokyo, quanto il timore dei russi che stavano arrivando da Nord. Chissà se a convincere Hirohito fu la consapevolezza, e il terrore, per la nota poca considerazione che Stalin aveva per imperatori e zar, fatto sta che in Giappone la guerra è cessata all’improvviso ma non si è mai compreso quando e chi avesse deciso l’espansione imperiale e quando e chi vi aveva posto fine avviando la liberazione e con essa la pace. Ed è per questo che nelle annuali celebrazioni delle vittime di Hiroshima e Nagasaki, così come nei dibattiti che in queste ore si affollano nelle tv giapponesi, vittime, carnefici, responsabili del passato coloniale e della ripresa economica e sociale giapponese si confondono. Un mix che dura dal ‘45 e che di fatto continua ad impedire al Giappone di fare i conti con la propria storia e con i propri vicini e di proporsi, come gli americani vorrebbero, nel ruolo di pacificatore asiatico in grado di tenere insieme le ragioni della Corea del Sud come del Vietnam e della stessa Cina.

PRAGMATISMO La visita ad Hiroshima e l’incontro con alcuni dei sopravvissuti (sono ancora 150 mila coloro che ancora vivono sulla propria pelle le conseguenze delle bombe nucleari), permettono ad Obama e agli Stati Uniti di chiudere un altro capitolo di storia ma spingono anche i giapponesi a fare altrettanto con i loro vicini.
L’esempio della Germania dimostra che per essere leader e credibili player, importanti nella propria area geopolitica, occorre fare i conti con il proprio passato e la visita di Obama in Vietnam, la decima della sua presidenza in Oriente, lo conferma. Pur di trasferire ai giapponesi un po’ di pragmatismo americano che rende amici i propri nemici del passato, Obama con la visita ad Hiroshima si è esposto in patria ma negando le scuse per i due ordigni nucleari ha impedito ai giapponesi di trasformarsi in vittime lasciandoli ancora in balia del proprio passato. 
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