Orlando a La Spezia e Bersani a Piacenza: i big del centrosinistra battuti a casa loro

Orlando a La Spezia e Bersani a Piacenza: i big del centrosinistra battuti a casa loro
di Mario Ajello
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Martedì 27 Giugno 2017, 00:05
Nemo propheta in patria. Ovvero, l’amara legge del genius loci - ci si passi questo eccesso di latinorum - che viene sonoramente bocciato, al grido «smamma, sgorbio!», da quelli che dovrebbero essere i suoi primi tifosi. Queste elezioni amministrative, tra primo e secondo turno, hanno sancito la sconfitta in casa di chi presumeva di essere inattaccabile tra le mura della propria città. Le roccaforti rosse, soprattutto, si sono sbriciolate sotto gli occhi dei notabili che pensavano di rappresentarle, o addirittura di incarnarne la storia e i destini.

LA MIOPIA
Senza accorgersi - ecco l’autoreferenzialità della politica, la cecità di casta che ha avuto a Genova la sua apoteosi nella sinistra finita in macerie - che i cittadini li avevano oltrepassati. Successe, due settimane fa, a Beppe Grillo. Rottamato, come ora è capitato al Pd del ministro genovese Pinotti, nella sua città, la capitale ligure diventata al secondo giro il simbolo del tracollo del renzismo, pur non essendo renziano il candidato sindaco sconfitto, ma che alla prima tornata ha simboleggiato la crisi generale del grillismo espulso dalla sua culla. E oggetto di un tradimento, visto con gli occhi di Giuse (come sempre è stato chiamato Grillo dai suoi concittadini), che di solito almeno dal punto di vista poetico, questa città è abituata non a infliggere ma a subire. «Genova mia tradita / rimorso di tutta la vita», dicono i versi di Giorgio Caproni.

E, per restare in Liguria, La Spezia? «Il Pd, isolato politicamente e socialmente, perde quasi ovunque», afferma il ministro Andrea Orlando. Ma dove ha perduto clamorosamente è proprio nella città del ministro antirenziano del Pd, nella sua Spezia che sempre rossa è stata. E dove lui, fin quasi da bimbo, vendeva l’Unità in mezzo alla strada. E la Piacenza di Bersani? Riecco la legge trasversale - occhio a Tosi cacciato dalla sua Verona per interposta persona, la fidanzata candidata Patrizia Bisinella, o allo sceriffo super-pop Bitonci cui i padovani hanno tolto la pistola - del nemo propheta in patria. L’ex segretario dem, dopo aver perso il partito che fondò, non ha più dimora politica in casa propria. A causa delle divisioni interne alla sinistra che hanno squagliato la sinistra piacentina.

IL PASSATO
E queste sono le meraviglie, non per i malcapitati naturalmente, della neopolitica. Uno come Clemente Mastella - vetero-politica - non ha mai perso a Ceppaloni (ora è sindaco di Benevento e si gode anche la promozione in serie A della squadra di calcio cittadina). Ed era impensabile che Andreotti potesse disgustare gli elettori nel Lazio o in Sicilia. O che De Mita venisse ripudiato nelle urne di Nusco. O che Fanfani non toccasse palla nella sua Arezzo (dove la Boschi, viceversa, non fa sfracelli). Ma adesso non è più così. Vale la pena ricordare - primo turno - che papà Renzi, pur non essendo candidato direttamente, è stato malamente battuto, sconfitta di famiglia, a Rignano sull’Arno? E per restare nel renzismo: la Giusi Nicolini che è stata il volto, e il volto migliore, di Lampedusa in questi anni? Bocciata in una sorta di plebiscito contra personam.

Massimo Cialente ha incarnato a L’Aquila la sinistra solidale e popolare, ma niente. Al suo Pd è stato preferito, senza alcun ringraziamento, Biondi, un Fratello d’Italia. E che ingrata la bella Lodi. Lorenzo Guerini è vanto di questa città, oltre che vice padrone o quasi del Nazareno, ma quanto non basta per far sorridere i dem. Anzi, si stanno disperando lassù. L’arresto del sindaco piddino Simone Uggetti ha rotto un dominio che sembrava inviolabile, e il Pd dopo essere arrivato primo per un soffio al ballottaggio, poi è stato sorpassato e ripudiato. E forse si è ripetuto in quella città, come nelle altre roccaforti rosse finite in briciole, ciò che il politologo Pierfranco Pellizzetti dice di Genova: «Questo voto dimostra che molti cittadini non ne possono più dell’egemonia senza idee della sinistra». O magari, più semplicemente, hanno preso gusto a sgambettare i big abituati a considerare i match elettorali in casa come un semplice allenamento.

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