Neonati rubati durante la dittatura, adesso la Spagna cerca giustizia

Neonati rubati durante la dittatura, adesso la Spagna cerca giustizia
di Paola Del Vecchio
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Domenica 26 Febbraio 2017, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 27 Febbraio, 08:54
MADRID Migliaia di vite strappate, di identità rubate e l’impossibilità di ricostruirsi come persone, senza verità, senza giustizia né riparazione. Sono passati 42 anni dalla morte del “caudillo” Francisco Franco ma, a differenza delle “abuelas de la plaza de Mayo”, la ferita delle madri spagnole e dei loro figli rubati, sottratti sistematicamente a oppositori e repubblicani e dati illegalmente in adozione alla nascita, per essere educati ai valori “di Dio e della patria” è sempre aperta. Lo Stato non ha mai squarciato la cortina di silenzio, nonostante le investigazioni storiche e le centinaia di denunce. 

LA BATTAGLIA
Ora finalmente si è aperto uno spiraglio, dopo che la sezione istruttoria n. 46 del Tribunale di Madrid ha rinviato a giudizio il ginecologo Eduardo Vela, per il rapimento di un bebè nel 1969. E’ il primo processo del genere in Spagna. Per Vela, oggi 85enne, imputato a piede libero dopo il pagamento di una cauzione per responsabilità civili di 465mila euro, la Procura chiede 11 anni di carcere.

«La cosa più dura per me è stata denunciare mia madre adottiva, che oggi ha 93 anni, perché potesse dichiarare all’autorità giudiziaria la verità: che il mio certificato di nascita firmato da Vela era falso, perché lei non poteva avere figli. Il ginecologo le suggerì di fingere la gravidanza e le nausee e di imbottirsi il ventre per un periodo…». Ines Madrigal, 47 anni, è quella neonata venuta alla luce il 4 giugno 1969 che è riuscita a portare Eduardo Vela sul banco degli imputati, dopo una battaglia durata anni, che ha visto sempre al suo fianco i genitori adottivi, Ines Perez e Pablo Madrigal, e le associazioni di vittime dei “niños robados”.

In un’istruttoria del 2008, poi archiviata, l’allora giudice dell’Audiencia Nacional, Baltazar Garzon, stimava in 30mila i bambini rubati nella Spagna franchista fino al 1950 e almeno altrettanti fino agli anni ’90. Un orrore difficile da quantificare. Decine e decine le storie documentate nei libri “Los niños perdidos del franquismo” e “Mujeres caídas” dallo storico Ricard Vinyes e dalla levatrice Mirta Nuñez. Mentre nel suo “El holocausto español” (2011), l’ispanista della London School of Economics, Paul Preston, parla di un piano sistematico di sterminio degli oppositori: «Terminata la guerra civile, il sequestro dei figli delle prigioniere repubblicane, non solo di quelle giustiziate, diventò un’azione sistematica. Un totale di 12mila bambini furono internati in istituzioni civili e religiose».

Un decreto del 1940 permetteva al regime di togliere i neonati alle madri se giudicava a rischio la loro “educazione morale”. «Una norma - ricordano all’Associazione SOS Neonati rubati - che permise di strappare ai genitori circa 300mila minori. Con il silenzio della chiesa cattolica, che non ha mai risposto alla richieste di informazioni di madri biologiche e bambini che vogliono ritrovarsi», come risulta nella denuncia presentata tre anni fa al Comitato dei diritti dell’infanzia dell’Onu. Anche dopo la dittatura, infatti, i sequestri andarono avanti, grazie alla rete ben organizzata in reparti di maternità e cliniche di varie città da medici, religiosi e personale infermieristico. Fino al 1987, quando il Parlamento spagnolo varò regole certe sull’adozione di minori.

LO SCANDALO
«Il meccanismo era sempre lo stesso: madri anestetizzate in sala parto, alle quali veniva sottratto il neonato per darlo a un’altra coppia, disposta anche a pagare una fortuna, spesso convinta che l’adozione fosse legale», assicura Ines Madrigal, che la sua madre biologica non è riuscita a trovarla. Come lei, molte delle famiglie delle vittime puntano il dito sulla figura chiave del traffico di bebè, Eduardo Vela, responsabile di ginecologia e ostetricia in vari ospedali, ex direttore della clinica San Ramon. Lo scandalo emerse nel 1982, quando un reportage del settimanale Inteviù pubblico le foto raccapriccianti di cadaveri di bambini congelati nell’obitorio della clinica, da mostrare alle madri alle quali venivano tolti i figli, facendo loro credere che erano morti.

Ma nulla si è realmente mosso fino al 2011, quando la magistratura citò in veste di indagata la suora Maria Gomez Valbena, 87 anni, mano destra di Vela. La religiosa è morta nel 2013, dopo essere stata sentita due volte dai magistrati. Gli archivi della clinica sono stati distrutti. Ma ora toccherà al ginecologo, che ha finora smentito ogni implicazione nel traffico, rispondere alle accuse suffragate da riscontri genetici incrociati e decine di testimoni. 
«Non voglio vendetta, ma solo sanare la frattura psichica che vivo da quando, convinta di essere una persona, a 48 anni ho scoperto di esserne un’altra, oggetto di un traffico illegale che ha operato impunemente in Spagna e cancellato la mia identità». Dopo aver vissuto i suoi 48 anni in Messico, dove credeva di essere nata, Ligia Ceballos Franco ha scoperto di essere un’altra persona. Una menzogna costruita da chi l’aveva sottratta ai genitori biologici. In realtà si chiama Diana Ortiz Ramirez ed è stata data in affido dalla prefettura di Madrid a una coppia benestante di messicani. Sul suo caso di “sparizione forzata, come crimine di lesa umanità commesso in Spagna durante la Guerra Civile e il franchismo”, Amnesty International ha presentato una denuncia alla Procura Generale della Repubblica del Messico, che ha aperto un’inchiesta.
 
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