«Domenica aperto», lo shopping
festivo divide M5S e dem

«Domenica aperto», lo shopping festivo divide M5S e dem
di Emilio Pucci
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Venerdì 20 Settembre 2019, 00:34 - Ultimo aggiornamento: 11:23

Il paradosso è che il 7 agosto Lega e M5s avevano trovato un accordo su una delle leggi più controverse del governo giallo-verde. In una riunione alla presenza dell’allora vicepremier Luigi Di Maio e dell’ex sottosegretario allo Sviluppo economico Dario Galli si era deciso di calendarizzare alla ripresa dei lavori parlamentari il provvedimento sulle chiusure domenicali. C’era stato il via libera del Carroccio alle reiterate richieste pentastellate: serrata per gli esercizi commerciali in 26 domeniche su 52 e in 8 festività su 12. E ora? Si riparte da zero? Gli uffici legislativi delle due forze politiche che sostengono il Conte bis stanno lavorando alle leggi sulle quali sarà possibile trovare una mediazione. 

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I FRONTI
E sul provvedimento legato alle chiusure domenicali le posizioni al momento appaiono molto distanti. I dem possono arrivare fino ad un massimo di 6 chiusure e tutte riguardanti le festività. Nella scorsa legislatura alla Camera era passato una pdl che andava in questa direzione, con il voto favorevole sia del Movimento 5 stelle che del Pd. Poi si arenò tutto al Senato. Ora i dem sono disposti ad aggiungere delle deroghe, a far decidere in alcuni casi agli imprenditori e alle regioni ma non hanno alcuna intenzione di dare parere favorevole al testo firmato M5s e Lega. 




Intanto ieri nella Commissione Attività produttive della Camera si è deciso di continuare le audizioni. Si riparte il 6 ottobre, ne mancano circa una quindicina poi si dovrà decidere il da farsi. «Serve – afferma il dem Beneamati che si sta occupando della materia – una pausa di riflessione, di certo non potrà restare il vecchio impianto». 

I NODI
Il partito del Nazareno dunque prende tempo, è d’accordo sulla necessità di un riordino del settore ma per ora è braccio di ferro. M5s e Pd non escludono in realtà un punto d’incontro, visto che un primo dialogo è fissato per la prossima settimana. Il ministro Stefano Patuanelli che è subentrato a Di Maio al Mise già la settimana scorsa ha fatto una riunione con i pentastellati che stanno portando avanti la legge. L’ex guida M5s al Senato ha riferito che l’argomento è stato tenuto fuori dal programma comune stilato con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte perché sarà oggetto di confronto parlamentare. Patuanelli ha riferito anche che dal capogruppo dem a Montecitorio Graziano Delrio è arrivata una sostanziale apertura. Ovvero la disponibilità a discuterne e ad affrontare i nodi sul tavolo. 
REAZIONI
C’è la volontà di risolvere il problema degli stipendi di chi è costretto nei centri commerciali a lavorare quasi tutti i week end del mese, c’è la convergenza sul fatto che occorre sostenere i negozi di vicinato ma nella sostanza i dem non intendono concedere di più di quanto propongono. Il capogruppo Pd al Senato, Andrea Marcucci, è stato categorico: «Questa è una legge divisiva, non se ne parla, meglio accantonarla». È vero che il Pd è molto cauto su tutte le proposte legate alla fase precedente, ma M5s non vorrebbe gettare alle ortiche il lavoro fatto. Anche perchè la Lega intende giocare a mettere in difficoltà i pentastellati. Il presidente della Commissione Attività produttive, la leghista Barbara Saltamartini, è tranchant: «Bisogna andare avanti, non c’è ragione per la quale occorre fermarsi». Sulla stessa linea Andrea Dara che attenderà la fine della discussione per decidere se rimanere relatore oppure no: «Per noi – osserva - non c’è nessun problema. Ora però tocca alla maggioranza fare sintesi». 
IL PROBLEMA
Il Carroccio ha messo su una task force tra i presidenti di Commissione per individuare i provvedimenti con i quali mettere in difficoltà i rosso-gialli. «Noi – puntualizza il pentastellato De Toma – non abbiamo intenzione di fare passi indietro. Già c’è stata una mediazione». Il rischio è che M5s e Lega possano far fronte comune e far sì che a novembre il testo arrivi in Aula in ogni caso. «Non ci possono essere maggioranze variabili», l’avvertimento del Pd che non esclude che in mancanza di un compromesso la legge venga definitivamente dichiarata morta.
 

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