Ciak si gira nella Roma di Moretti. Esce oggi il libro di Giorgio Biferali e Paolo Di Paolo, appassionante excursus fra i set del regista

Ciak si gira nella Roma di Moretti. Esce oggi il libro di Giorgio Biferali e Paolo Di Paolo, appassionante excursus fra i set del regista
di Giorgio Biferali e Paolo Di Paolo
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Giovedì 1 Settembre 2016, 00:18 - Ultimo aggiornamento: 6 Settembre, 21:02
Anticipiamo tre brani di “A Roma con Nanni Moretti” (Bompiani, pp. 170, euro 11), in libreria da oggi. Il volume – un viaggio fra i set romani dei film di Moretti – contiene anche una lunga intervista al regista, una sezione fotografica e una filmografia ragionata, con gli eventi storici legati all’uscita dei vari film e il “clima” della città di Roma raccontato attraverso la cronaca del Messaggero. Gli autori, nati negli anni Ottanta, seguono le piste dei personaggi, da Michele Apicella al papa riluttante, da don Giulio di La messa è finita all’alter ego di Moretti in vespa nelle sequenze estive di Caro diario.

ECCE BOMBO (1978)
Nel film, uscito una settimana prima del sequestro Moro, un gruppo di giovani di sinistra, ex sessantottini, appartenenti alla piccola e media borghesia romana, sentendosi soli, anno iati e disillusi, decidono di smetterla con la politica e di dedicarsi, invece, all’autocoscienza. Michele Apicella (ovviamente Moretti) è al centro di un gruppo di giovani “invecchiati”. Passa parecchio tempo in compagnia di alcune ragazze, con le quali alterna monologhi e silenzi. Come con gli amici, esiste un problema di fondo: vogliamo chiamarlo incomunicabilità? Le donne, momentanee comparse, sembrano somigliarsi tutte. E lui? «Come sono fatto male! Come sono fatto male!» confessa, appunto, sulla famosa panchina di piazza dei Quiriti, seduto accanto a un’amica dei tempi del liceo. La sua confessione suona meccanica, artefatta, come recitasse una parte nel vano tentativo di giustificarsi. O quando Silvia – la sua presunta compagna – parte, lo saluta alla Stazione Ostiense, e lo abbandona per andare “fuori Roma” (forse è proprio questo il vero tradimento: uscire dalla città) in cerca di fortuna. Intanto Michele è conquistato da Flaminia, ignorando il fatto che sia la compagna del suo amico Cesare. La chiama a casa, fortunatamente risponde lei: «Ti volevo chiedere se ci potevamo vedere per innamorarci di me.» 
Michele si definisce «molto possessivo», tanto abile nel pretendere una presenza femminile quanto nell’allontanarla, una volta raggiunta. In una delle riunioni di autocoscienza con gli amici, rivela chiaramente le sue preferenze empiriche nell’evolversi di una non-storia: «Del rapporto con una donna mi piace l’innamoramento e corteggiamento, la prima volta che si fa l’amore, anzi i preparativi della prima volta, e quando ci si lascia. E restano i ricordi e la voglia d’incontrarsi per poi non saper più cosa dire.»

BIANCA (1984)
Michele spia Bianca, la segue, anzi la pedina, per le vie alberate dell’Aventino. In uno dei primi incontri, tutti all’insegna dei dolci, Bianca va a casa di Michele e gli porta un po’ di gelato. Senza neanche essersi seduti a tavola, Michele e Bianca sono già al dolce. Vanno bene le coppie felici, ma lui con la felicità ha un rapporto faticoso. Inadeguato a partecipare alla vita, si limita a essere un osservatore poco discreto. Il letto da dividere, il fatto che ormai vengano considerati insieme e non come individui, l’obbligo di farsi carico dei trascorsi di un’altra persona, per Michele rappresentano un’ingerenza eccessiva, un muro infranto oltre il quale non sa più difendersi, se non attraverso l’evasione metaforica e infantile nel barattolone di Nutella, nel sapore dolce della sua solitudine: «La felicità è una cosa seria, no? Ecco, allora, se c’è dev’essere assoluta».
Finché si tratta di un bisogno, di un’illusione, di un desiderio incompiuto, Michele/Moretti è in grado di apprezzare il meccanismo amoroso. L’importante è non essere coinvolto, perché significherebbe esporsi, rischiare, mettere in gioco le proprie certezze: «Io mi devo difendere!» Anche da ciò che accade agli altri, in una Roma “dimezzata”: bellissima all’aria aperta, brutale e spietata negli interni delle case.
 
IL CAIMANO (2006)
E se fosse soprattutto un film d’amore? Se il discusso film su Berlusconi fosse soprattutto un racconto sull’amore, sull’inadeguatezza, sul sogno di famiglia? C’è una scena – arriva inattesa e ha un colore meno cupo, meno notturno del resto del film – che funziona come una spia luminosa. Bruno (Silvio Orlando) e Paola (Margherita Buy) sono in macchina sul lungotevere Flaminio verso Monte Mario, hanno appena firmato la loro separazione e si ritrovano accanto, ciascuno nella propria macchina, si salutano, si guardano, si sorridono, tutto sommato ancora complici, ancora legati. 
In sottofondo, le note di Damien Rice, The Blower’s Daughter, che spezzano il cuore raccontando la difficoltà di un addio. È un film in cui si aprono spesso piccoli spazi così: di vita intima, gesti minimi, di vita familiare che va in frantumi e per vie inaspettate si ricompone, riprende fiato e calore. La città è più sfumata del consueto, appare per lampi, bagliori veloci, non si fa in tempo a mettere a fuoco i luoghi che subito il racconto corre via, altrove. 
Ma la vita privata di Bonomo, produttore in disgrazia che cerca di recuperare terreno, è spostata verso il quartiere Prati. Dopo una crisi di gelosia, Bruno si mette a correre sul lungotevere, passa da via Cola di Rienzo, corre fino a casa, la casa che era stata loro, e decide di distruggere il maglione azzurro che aveva regalato a sua moglie. In un’altra scena, Bruno e Paola camminano lungo il porticato dell’Auditorium Parco della Musica, si fermano davanti alla libreria mentre lui cerca di convincerla ad avere una parte nel nuovo film. Così, la scena del lungotevere Flaminio, naturale e toccante, rende più evidente l’uso che di Roma fa Moretti nel Caimano: la lascia sparire dietro le vicende, come Ancona nella Stanza del figlio, dà la sensazione che abitare fino in fondo un luogo è anche o soprattutto dimenticarsene, non vederlo più. 
 
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