Il ministro Pinotti: «Difesa europea, avanti con Parigi, Madrid, Berlino»

Il ministro Pinotti: «Difesa europea, avanti con Parigi, Madrid, Berlino»
di Marco Ventura
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Domenica 5 Febbraio 2017, 01:13 - Ultimo aggiornamento: 6 Febbraio, 07:42

La Difesa europea deve parlare una sola voce, fuori e dentro la Nato. Per questo va rafforzata». L’Europa a due velocità non è soltanto economica, è anche una Schengen della Difesa che sotto impulso italiano sarà costruita con «cooperazioni rafforzate tra Italia, Francia, Germania e Spagna».

Ne è convinta Roberta Pinotti, ministro della Difesa. L’amministrazione Trump ha avuto con lei il primo contatto di governo: la telefonata del generale dei Marines e Segretario alla Difesa, James Mattis. «Una presa di contatto, nella quale però ci siamo dati un primo appuntamento a margine del vertice Nato del 15-16 febbraio a Bruxelles. Durante la telefonata ho avuto la conferma dell’importanza della Nato per gli Stati Uniti. Mattis ha anche ringraziato l’Italia in quanto alleato presente e qualificato nelle missioni internazionali, e le nostre forze armate che ha definito “uno degli elementi di reputazione positiva dell’Italia nel mondo”, sia perché affidabili sia per la loro grande “compassion”, ossia la capacità di entrare in empatia con la popolazione e farsi sentire risolutori di conflitti, non invasori».

E sulla Libia?
«Mattis ha ringraziato l’Italia per quel che sta facendo. E ha ribadito il nostro ruolo fondamentale nella costruzione di percorsi validi per la Libia».

L’atteggiamento dialettico di Trump costringerà l’Europa a dotarsi di una propria difesa più autonoma?
«La Difesa europea va rafforzata non solo per avere una maggiore autonoma capacità, ma anche perché, se i diversi Stati europei parlano voci diverse all’interno della Nato, questo impoverisce la loro possibilità di incidere. È fondamentale anche per la strategia difensiva della Nato che l’Europa parli una sola voce. Gli Stati Uniti sono importanti, ma è un problema se l’Europa si spezzetta mentre dovrebbe avere un proprio punto di vista definito, non in contrapposizione ma in coordinamento con una Nato che sia un asset strategico più coeso».

Ci sarà un’Europa più “veloce” sulla difesa comune?
«Le cooperazioni rafforzate possono progredire in collaborazione con il ruolo dell’Alto Rappresentante, Federica Mogherini, e riguardare progetti e programmi a beneficio della Difesa europea. Noi abbiamo bisogno che il nucleo di Paesi che si è mosso con più forza verso la Difesa comune, cioè Italia, Francia, Germania e Spagna, elabori cooperazioni rafforzate che portino ancora più avanti le decisioni assunte. Ulteriori investimenti in questa direzione delle nazioni promotrici trascineranno positivamente le altre».

Che cosa cambia dopo il Vertice europeo di Malta? 
«È irrealistico pensare di passare da 181mila migranti nel 2016 a zero, ma una riduzione drastica o almeno significativa è un traguardo possibile. Chi dice che gli accordi tra il presidente Gentiloni e il premier libico El-Serraj sono soltanto un pannicello caldo e chiede blocchi navali sbaglia. Tutte le forze contrarie all’immigrazione clandestina dovrebbero sostenere questo piano e aiutarci».

Ma le organizzazioni non governative e internazionali criticano la linea dell’Italia e della UE perché non si curerebbe dei rifugiati. È così?
«Mi aspetto che l’Onu e le Ong ci diano una mano: nell’accordo bilaterale Italia-Libia è previsto un aiuto per il sostegno sanitario, per la formazione di personale che opera nei centri di accoglienza degli immigrati. Tutti dovrebbero essere interessati a fermare le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di migranti».

Qual è il nocciolo del patto tra Italia e Libia?
«È un accordo molto importante, che prevede la disponibilità a un maggiore impegno per il controllo del fronte sud, là dove arrivano molte migliaia di migranti, ma anche un intervento complessivo che comprenda fondi per lo sviluppo e sostegno umanitario nei centri di raccolta migranti. La Libia ha ancora una situazione frammentata che genera debolezza, ma l’Italia spinge da tempo perché il premier al-Serraj, riconosciuto dalla comunità internazionale, si rafforzi attraverso una maggiore inclusione. Anche rispetto a protagonisti come il generale Haftar, importante nella lotta al terrorismo a Bengasi».
L’Italia ha riaperto l’Ambasciata… 
«Abbiamo avuto coraggio. Siamo il primo Paese ad averlo fatto. La nostra apertura al dialogo non riguarda solo Tripoli ma tutta la Libia».
Finanzieremo le tribù del Sud per controllare il confine meridionale? 
«Il controllo di quella frontiera fa parte dell’accordo bilaterale con la Libia. Va fermato lo sfruttamento del fenomeno migratorio da parte di reti criminali che organizzano dai vari Paesi africani i viaggi della disperazione chiedendo cifre esorbitanti, esercitando violenze inenarrabili. Italia ed Europa non possono stare a guardare e assistere imbelli a questo abominio in cui le persone sono trattate come schiavi e relitti umani».
Non è frustrante che la missione aero-navale europea Sophia non possa ancora entrare nelle acque territoriali libiche contro gli scafisti?
«Quando furono definiti gli obiettivi della missione non c’era un governo riconosciuto dalla comunità internazionale. Adesso questo governo c’è, sottoscrive accordi e dice di non volere navi straniere nelle acque libiche perché sarebbe un vulnus alla sua autorevolezza, una lesione dell’autonomia della Libia. Ma si è reso disponibile a intervenire direttamente. Nel 2015 la guardia costiera libica è intervenuta per contrastare i trafficanti e dare soccorso a 800 migranti, nel 2016 questo numero è salito a 16mila. È un incremento molto rilevante. Noi con la missione europea addestriamo la guardia costiera, mentre nel rapporto bilaterale ci siamo impegnati a dare supporto e dotarli di motovedette».
Che significato ha la nostra presenza militare nella missione “Ippocrate”?
«L’impegno con l’ospedale di Misurata ci è stato chiesto da al-Serraj perché le truppe che combattevano a Sirte avevano avuto parecchi morti e feriti, ma siamo pronti ad allargare questa disponibilità anche a Tripoli, Bengasi e Tobruk, purché richiesti, per l’aiuto umanitario e la cura dei feriti sia in loco, sia in Italia all’ospedale del Celio.

La nostra è una disponibilità a 360 gradi verso tutti i libici che combattono i terroristi».

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