Micaela Ramazzotti: «Sono un'attrice, la pazza gioia per avercela fatta»

Micaela Ramazzotti: «Sono un'attrice, la pazza gioia per avercela fatta»
di Gloria Satta
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Domenica 17 Settembre 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 25 Settembre, 21:04
La chioma platinata, «da bionda svalvolata», è un ricordo del passato. «Ho tagliato e scurito i capelli perché me l’ha chiesto Amelio sul set di La tenerezza. Poi ho tenuto il caschetto castano: mi fa sentire me stessa, rappresenta il maschiaccio che è in me».

Micaela Ramazzotti, 38 anni, due figli e una carriera sorprendente che la vede in pista da un venticinquennio, è un mix di innocenza e determinazione, eleganza e sex appeal selvaggio, istinto e gran talento spendibile sia nelle commedie sia nei drammi.

Romana della periferia, ha conquistato lo status di prima attrice italiana passo dopo passo, dai fotoromanzi interpretati da adolescente ai film d’autore, dalle soap alle commedie blockbuster: Questione di cuore, Tutta la vita davanti, Il cuore grande delle ragazze, Posti in piedi in paradiso, Anni felici, La pazza gioia. All’inzio di questo percorso c’è Zora la vampira, cult dei Manetti Bros (2000).

Alla fine, prima che nei prossimi giorni l’attrice raggiunga il set di Una storia senza nome di Andò, c’è il dramma di Sebastiano Riso Una famiglia, passato in concorso a Venezia e atteso in sala il 28 settembre con Bim. Micaela, soggiogata dal turpe marito Patrick Bruel, interpreta il più straziante dei ruoli: Maria, che fa figli per venderli a chi non può averne o adottare.

Cosa le ha lasciato un personaggio estremo come questo?
«La gioia di averlo interpretato. Mi aveva affascinato l’idea di raccontare un legame di coppia patologico, morboso. Della maternità, Maria conosce solo la gravidanza ma non l’allattamento, la tenerezza, la simbiosi con il suo bambino. Diventerà madre davvero solo liberandosi del compagno-aguzzino».

Lei è una di quelle attrici che si identificano totalmente nei ruoli, al punto di portarseli a casa?
«Ma no, dopo 40 film ho capito che è sciocco rimanere incollati ai personaggi. Vanno lasciati sul set. Mentre giravo Una famiglia, dopo aver assorbito il dolore struggente di Maria la sera tornavo a casa cantando a squaciagola. Felice, liberata».

Se riavvolge il nastro della sua vita, da Zora la vampira ai successi di oggi, cosa vede?
«La cocciuta determinazione di una ragazza che ha voluto fare l’attrice con tutta l’anima. Questo mestiere l’ho sognato, cercato, inseguito fin da quando avevo 5 anni e saccheggiavo l’armadio di mia madre per travestirmi. E ce l’ho fatta, ho avuto la fortuna di incontrare dei maestri. Ma anche le delusioni mi hanno aiutata a crescere».

Ha ricevuto molte porte in faccia?
«Non c’è male. Ricordo i provini andati a vuoto, i registi che non accettavano la mia voce roca, le promesse non mantenute. “La richiameremo”, e chi li sentiva più. Ma non mi sono arresa, non ho mollato».

Ha mai pensato che la sua romanità potesse rappresentare un handicap?
«All’inizio, forse. Ma sono orgogliosa della mia identità. E sono grata a Verdone che, da produttore di Zora, mi spinse a coltivarla. Mi disse “vai e spacca”: la prima iniezione di autostima. Sono felice di come siano andate le cose. Non ho conti in sospeso con il cinema o il destino».

Com’è stata la sua infanzia?
«Sono cresciuta all’Axa, un quartiere di cui mi vergognavo un po’ perché non era alla moda come Trastevere e mi costringeva a lunghe trasferte sui mezzi pubblici per affrontare i provini al centro. Quando finalmente arrivavo a destinazione, mi sentivo una straniera».

A scuola come andava?
«Così così, mai stata la prima della classe. Avevo il chiodo fisso del cinema e, dopo aver preso il diploma al Liceo Artistico, mi sono iscritta all’Accademia di Belle Arti, ma ho lasciato perché ho inziato a lavorare sodo».

Giovanissima, bella, decisa a sfondare: ha incontrato molti marpioni pronti ad approfittare della situazione?
«Ho imparato prestissimo a guardarmi intorno come un gatto per fiutare il pericolo. Appena avvertivo un’aria brutta, sbarravo la porta. E non mi è successo nulla di male».

Che poster aveva nella sua cameretta?
«Quello di Leonardo DiCaprio. Non so quante volte ho visto Titanic. Ma il mio modello di attrice era Julia Roberts».

L’incontro con suo marito Paolo Virzì, sul set di Tutta la vita davanti, ha rappresentato una svolta?
«Mi sono innamorata a prima vista di Paolo e l’ho voluto con tutta me stessa. Adoro la sua curiosità, la sua energia creativa. Lui ha capito la mia passione per il cinema e dopo 11 anni continuiamo ad avere uno scambio alla pari».

Ha mai frequentato una scuola di recitazione?
«Non ne ho avuto il tempo. Ho imparato tutto sul campo».

Come la mette con la competizione esasperata che c’è nel vostro ambiente?
«E chi lo frequenta, il cinema. Quando non sono sul set, rimango a casa con i bambini, li porto a scuola e alle feste, preparo da mangiare. Il mio mondo è all’interno delle pareti domestiche. Sono una mamma che lavora».

Ma di fronte a un colpo basso o a una scorrettezza perdona o si vendica?
«Volto pagina, vado avanti».

La spaventa l’idea di non lavorare?
«Mi spaventa molto di più il mondo in cui vivono i miei figli. Violenza, guerre, e quel razzismo montante che fa male al cuore. Spero in un futuro migliore. Intanto, sono felice delle conquiste di civiltà come l’adozione estesa alle donne single e alle lesbiche: l’hanno introdotta in Francia, spero arrivi anche da noi».

Ha un sogno?
«Vivo alla giornata. E sono felicissima di quello che ho».
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