Marco Prato, così l'ex re delle notti romane è stato cancellato dal suo mondo

Marco Prato, così l'ex re delle notti romane è stato cancellato dal suo mondo
di Marco Pasqua
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Mercoledì 21 Giugno 2017, 00:35 - Ultimo aggiornamento: 14:58
ROMA Sulla bacheca Facebook di Marco Prato ci sono ancora gli auguri per il suo ultimo compleanno. Una settimana fa, il 14 giugno. «Non so se li leggerai. Come stai?», gli chiede Maurizio, uno dei pochi utenti rimasti a scrivere su un profilo che, subito dopo la morte, è stato trasformato dai famigliari in una pagina “commemorativa”. Sono ormai lontani i tempi in cui Prato era uno dei Pr più popolari della nightlife gay capitolina e la rubrica del suo cellulare pullulava di numeri di vip o pseudo tali. Il suo nome, ormai, viene talvolta usato, certamente in maniera impropria, nel gergo delle chat per incontri, come sinonimo di lucida e pericolosa follia. 

IL PASSATO
Nessuno degli amici vuole parlare di quel ragazzo che amava Dalida e che, già altre tre volte, aveva tentato di togliersi la vita. Anche i ricordi pesano come macigni, come se neanche la morte cancellasse la vergogna di averlo conosciuto o frequentato. E’ così per i due giovani soci storici, Matteo Olivi e Federico Velluti, barricati dietro ad un silenzio che dice tutto. Insieme, cinque anni fa, avevano lanciato l’Ahperò, l’aperitivo a tinte arcobaleno della domenica, sempre affollatissimo, anche di attori e soubrette. Quell’appuntamento si è spento ufficialmente il 6 marzo dello scorso anno, due giorni dopo il delitto, quando Olivi e Velluti decidono che “the show must go on”: la data non si cancella, porte spalancate all’Os Club, a Colle Oppio, sorrisi per tutti («non sapevamo cosa fosse successo», si sono poi giustificati, anche se Prato era sparito e non rispondeva ai loro messaggi da molti giorni). Federico Rosati, il titolare del locale, ha cancellato quell’evento dalla sua memoria: «E’ un capitolo chiuso, non ne parlo più». 

I RICORDI RIMOSSI
Rimosse anche le pagine Facebook e ogni riferimento social all’aperitivo e alla serata Motel (ospitata al Lanificio), i cui hashtag prima rimbalzavano un po’ ovunque. Dal carcere, il killer di Luca Varani, aveva cercato un contatto con Olivi, dopo tanti anni di amicizia e feste condivise, inviandogli una lettera. Un’occasione per riflettere su quanto accaduto, anche per riannodare un filo che quell’omicidio aveva inevitabilmente bruciato. Ma a quella missiva, Olivi non aveva dato alcun seguito. «Non mi va di parlarne», dice al telefono. 
Quando in carcere, durante una visita, Prato aveva incontrato un collega che, come lui, lavorava nel mondo della notte, era scoppiato a piangere. Troppo grande la vergogna di essere tra quelle mura e di aver dovuto rinunciare persino a quella capigliatura posticcia che era parte della maschera di ragazzo sicuro del suo fascino. Nessuno dei personaggi che frequentavano il Pr ha nulla da dire. 

Flavia Vento, che aveva contribuito a diffondere la voce di un presunto flirt con l’amico, si nasconde dietro ad un “no comment” che appare fuori luogo come quegli stessi gossip che li riguardavano. Neanche Giacomo Urtis, autoproclamatosi chirurgo dei vip, vuole condividere un pensiero per quell’amico con cui pure aveva fatto, spesso, insieme le ore piccole. 

Chi parla, invece, è Vladimir Luxuria, che lo aveva conosciuto: «Sono sorpresa da questo suicidio, che avviene proprio alla vigilia del processo. Sono sbigottita. Non riconosco Marco nelle parole che ha affidato a quella lettera. Le motivazioni del gesto mi sorprendono e, francamente, parlare di assedio mediatico quando si è in carcere mi pare assurdo». La comunità gay è, di nuovo, sotto choc e parteciperà alla spicciolata ai funerali, da quando diventerà ancora più facile smettere di parlare del Pr che tutti rincorrevano. 
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