Capetti, correnti e file per un posto in lista: entusiasmo e partecipazione sono un ricordo

Capetti, correnti e file per un posto in lista: entusiasmo e partecipazione sono un ricordo
di Mario Ajello
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Lunedì 25 Settembre 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 08:02

dal nostro inviato
RIMINI Oddio, piove. Ehmbé? Così avrebbe detto il grillino classico, quello sognante e non ancora disaffezionato, quello che mai avrebbe immaginato - ma lo accetta - di vedere il guerriero Roberto Fico con il broncio del reprobo o la fila di big e peones per farsi ricandidare da Di Maio. E ce n’erano svariati l’altra notte, nell’ennesima festa in un locale cool, il Newport dove è stata festeggiata l’elezione di Giggino a super-capo, che omaggiavano il prescelto, non simpatico a molti di loro, in un coro di salamelecchi.

E comunque ieri, appena le nuvole hanno minacciato pioggia, si è conclusa di fretta e furia, e senza troppi rimpianti di andare via, la kermesse riminese. Altro che festona sotto il diluvio, durante lo Tsunami Tour, il 2 febbraio 2013 in Piazza Maggiore a Bologna, quando diecimila persone fradice gridavano entusiaste «Li faremo fuori tutti» (gli altri partiti), insieme a Grillo senza ombrello e senza cappello che tutto bagnato guardava il cielo urlando: «Dio, grazie per questa pioggia benefica!». Ora è bastato il sentore di due gocce, per smobilitare una festa diventata lo specchio della disaffezione del grillismo o post-grillismo. Il colore del movimento era il giallo fuoco con tutte le cinque stelle luminosissime e adesso è invece il grigio della voglia di normalità, dell’abito istituzionale alla Di Maio, della penombra in cui si sta cercando di tenere la lotta tra fazioni (e la divisione delle candidature e ricandidature per quote: una per Di Maio, una per Casaleggio, una quota compensazione del dissenso) e in sostanza del nuovo “desiderio di essere come tutti” (per rubare il titolo a un libro così così di Francesco Piccolo), ma alla maniera suggerita da una vecchia rimetta di Paolo Ungari: «Chi contesta nel contesto / fa carriera assai più lesto». 

I NUMERI DEL DISINCANTO
La disaffezione sta anzitutto nelle cifre del voto online: appena uno su cinque degli aventi diritto ha cliccato la sua preferenza su Rousseau per scegliere Di Maio. Come mai? Perché non esiste quasi più il popolo originario cinque stelle, quello che credeva che un clic avrebbe cambiato il mondo, quello dei meet-up e dei flash-mob (parole iper-moderne che di colpo diventate archeologiche), dell’«io partecipo» e dell’«uno vale uno». Adesso questa sembra gente che, come tutti, si appisola davanti al televisore guardando l’ennesimo talk show. E sul pratone di Rimini i grillini del disincanto non facevano altro in questi gironi che parlare di tivvù: «L’hai guardata Porta a Porta l’altra sera?», «andiamo a farci un selfie con quel commentatore che ho visto a UnoMattina? O su La7?».

Ed è come se il popolo del blog di Grillo si fosse normalizzato anche sotto questo aspetto: somiglia sempre di più a un classico pubblico da prima e seconda serata e in fondo se ne infischia di Rousseau nonostante venga esaltato da Casaleggio. Il quale ha chiuso il suo discorso striminzito, ricordando «il 19 novembre pianteremo decine di migliaia di alberi a Roma, a Pomezia e nelle altre città, anche non amministrate da noi per far rinascere la vita in questo Paese».

Applausi? Macché. Sempre meno bio i grillini, sempre meno alternativi e visionari, spariti i No Tav e i No Triv all’epoca della voglia di governo, sempre più uguali al tele-pubblico, ma anche alle platee degli altri partiti. Un ottimo deputato siciliano, D’Uva, osserva: «Prima riempivamo le borracce con l’acqua pubblica, adesso compriamo come tutti le solite bottigliette di plastica». E i banchetti dove raccogliere firme per un numero innumerevole di battaglie civiche? Il paesaggio è popolato semmai di capi e capetti che dissimulano una unità che nasconde rivalità. E tutti stanno bene attenti a non esporsi. Mentre il grigio della disaffezione di questo popolo, ormai concentrato più che altro nel voler vedere al governo i risultati di tanti anni di passione, è speculare alla stanchezza di Grillo. Il quale vuole fare altro e ha anticipato a Rimini un brano apocalittico del suo imminente tour teatrale. Ma senza Grillo il grillismo s’ingrigisce e s’intristisce. Anche se lui ha cercato in questi giorni di rivitalizzarli, a colpi di blues-rock e di battute come questa: «Non possiamo fare le barriere, avremo una società meticcia. Anche io ho un pezzo di Africa dentro di me. Dove? Spero in mezzo alle gambe». Ma l’ironia, oltretutto un po’ andante, come doping non funziona più tra questa gente che un po’ somiglia a Di Maio e un po’ ha deciso di dare a lui e a se stessa un’ultima possibilità. Ma se piove, si scappa a casa. 

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