Libia, l’ipotesi: carabinieri addestratori e azioni aeree contro i jihadisti

Libia, l’ipotesi: carabinieri addestratori e azioni aeree contro i jihadisti
di Marco Ventura
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Martedì 17 Maggio 2016, 00:06
Addestratori per la Guardia nazionale libica di Tripoli e militari a difesa dell’Ambasciata d’Italia che potrebbe riaprire nei prossimi mesi. Tutti i piani messi a punto da oltre un anno a Roma, in stretta collaborazione con gli alleati che partecipano al progetto di Libyan international assistance mission (Liam), si riducono ormai per l’Italia a questo. All’invio, ancora tutto da definire e quantificare, di carabinieri e incursori sul modello Iraq (dove con successo abbiamo addestrato i peshmerga curdi alla riconquista delle città occupate dal Califfato) e Afghanistan, dove è in corso una cooperazione rafforzata con i tedeschi per la formazione dell’esercito di Kabul e dove la nostra missione viene da anni prorogata su sollecitazione americana.
 
IN CASO DI EMERGENZA
Per qualsiasi emergenza, legata a minacce dirette delle milizie dell’Isis in Libia, è pronto il dispositivo aereo-navale dell’Unione europea nel Mediterraneo (Eunavformed) a guida italiana. Nelle scorse settimane, per esempio, si sono svolte esercitazioni sull’ammiraglia, la portaeromobili “Garibaldi”, protagonisti gli elicotteri da attacco Mangusta. Inoltre, le nostre forze speciali sono sempre allarmate, principalmente gli incursori del Comsubin e Col Moschin, ma le previsioni d’impiego fino a 5mila italiani nel quadro di una coalizione internazionale in Libia un anno fa, si sono ridotte negli ultimi mesi a un migliaio, poi a 130 militari, pari a una compagnia di fanteria più alcuni specialisti a difesa della nuova sede Onu a Tripoli come gruppo più consistente di un contingente internazionale di circa 300, infine a quanto basta per la protezione della nostra Ambasciata quando finalmente si creeranno le condizioni per riaprirla. Più un nucleo di addestratori, principalmente carabinieri, come in Afghanistan, in risposta a una richiesta da parte del governo libico che però (specificano fonti della Difesa) non è stata ancora formalizzata.

Anche l’ipotesi di raid mirati a difesa degli impianti dell’Eni in Libia non risponde alla realtà sul terreno. Come ha ricordato Matteo Renzi, l’area petrolifera a rischio di attacchi dell’Isis a Brega, Ras Lanuf e Sidra non è gestita dall’Eni. E al momento, le “guardie petrolifere” composte dalle milizie locali di Ibrahim Jadran fedele al premier Fayez Al Serraj, sembrano poter mantenere il controllo della situazione. Proprio Al Serraj ha precisato ieri a Vienna di non volere un intervento di truppe straniere, ma «assistenza». Il rischio, ha spiegato il ministro della Difesa Roberta Pinotti in un incontro all’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) è che «la forza militare importata venga sentita come uno sfregio all’orgoglio del Paese». Per questo la Pinotti indica il modello Iraq-Afghanistan. «A Erbil, in Iraq, militari tedeschi e italiani si alternano nell’addestrare peshmerga curdi». E il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha ricordato che il governo libico «in diverse occasioni ha detto che non chiederanno “boots on the ground”, truppe sul terreno, ma sostegno in diversi ambiti». Equipaggiamento, armi, supporto d’intelligence ed eventualmente aereo contro l’Isis.

I COMBATTIMENTI
In Libia, intanto, si continua a combattere. Nel quartiere Al Sabri di Bengasi, le truppe del generale Haftar cercano di neutralizzare un caposaldo jihadista a pochi chilometri dal porto con colpi di mortaio e raid aerei. L’esercito avanza con difficoltà sotto i colpi dei cecchini appostati sui palazzi. A Misurata, invece, i miliziani dell’Isis sono avanzati nei dintorni della città di Bani Walid. La preoccupazione di Al Serraj non riguarda solo le milizie affiliate al Califfato, ma lo scontro per il momento a distanza con le forze di Haftar. Un quadro instabile che rende improponibile un intervento alleato sia per la guerra in corso, col paradosso di un Parlamento internazionalmente riconosciuto (quello di Tobruk) che nega il suo appoggio a un premier pure internazionalmente riconosciuto (Al Serraj), sia per il pericolo di ritorsioni terroristiche in Europa (e Italia) di un eventuale coinvolgimento europeo.
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