Centrodestra in piazza: «Da oggi non siamo più una maggioranza silenziosa»

In piazza San Giovanni un popolo di moderati e di scontenti
di Mario Ajello
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Domenica 20 Ottobre 2019, 01:06 - Ultimo aggiornamento: 08:53

Più scontento che rabbioso. Più moderato che estremista. Eccolo il popolo di Piazza San Giovanni. «Non siamo più - così si descrive - la maggioranza silenziosa». Nessuna parentela cioè con il ceto medio d’antan, prudente e anti-sinistra che si faceva vedere politicamente poco ma pesava tanto, perché questo popolo non nasconde di credersi forte. S’è spogliato dal complesso d’inferiorità verso la sinistra («Se al posto nostro in piazza ci fossero quelli del Pd, riempirebbero al massimo un angoletto», dicono i più entusiasti). E si gode un protagonismo che non si limita alla polemica anti-fisco o alla retorica anti-comunista. Che infatti, quando Berlusconi dal palco la eccita, non trova nella piazza grande riscontro. 
 



Questa mescolanza di anziani e di ragazzi, di Nord e di Sud, di bandiere italiane ma anche qualche vessillo dell’Ungheria di Orban, di slogan in romanesco e di stendardi della Repubblica veneziana di San Marco, di vaffa a Grillo e di zero saluti romani, segna il battesimo del popolo della destra-centro, nella piazza che fu la più rossa di tutte, in sostituzione del vecchio centro-destra. E Berlusconi sembra accettare questa trasformazione e partecipa senza opporsi al passaggio dello scettro. Che è nelle mani di Salvini e Salvini ha gestito questa cerimonia di investitura senza strappi, che pure gli sono consueti, senza quel senso di superiorità fin troppo praticato, fino al punto da danneggiarlo assai tra Papeete e la rivendicazione dei «pieni poteri». 
 



FORMAT
Il format San Giovanni è l’opposto di quello Milano Marittima. Ed ecco allora che davanti al popolo della destra-centro che grida unità e si rappresenta unito in piazza, Matteo Salvini tiene a freno l’egotismo. E mentre archivia la leadership del Cavaliere - «Ha vinto tante battaglie e tante ancora ne vincerà» - fa di tutto perché Zio Silvio si senta a casa. E come la Meloni ad Atreju è riuscita nell’ardua impresa di non far fischiare dal suo popolo l’ospite Conte, così Matteo riesce a tacitare i fischi di noia verso la lungaggine del discorso del Cavaliere e abbracciando Silvio se ne fa erede. Proponendosi come federatore (e si vedrà se davvero ne ha le capacità) e rimangiandosi così la vecchia impostazione: «Non si vince da soli». 

A unire davvero le varie anime delle piazza, in cui Forza Italia c’è ma si vede meno degli altri, è il grido «elezioni!». Rimbomba di continuo. Il diritto negato del voto è il tormentone di questo popolo. Si sente spogliato della sovranità e usa questo torto ricevuto (così a loro appare, ma la Costituzione non prevede urne per forza se cade un governo) come doping per il proprio protagonismo e come trampolino per il riscatto politico. C’è il nazionalismo in questa piazza, e il sovranismo viene spacciato a piene mani dal palco, ma forse prevale il patriottismo e quando la manifestazione si conclude con il Va pensiero le note non stridono con l’ambiente. CasaPound è quasi invisibile e ammansita e il suo leader Di Stefano parla come un sottosegretario dell’Udc. 

Il trucismo non spopola. E - sorpresa! - non appare il rosario nelle mani di Salvini, non si parla di santi e di madonne, non si gioca con il cesaropapismo e se dura questo salto di qualità sarà bene per tutti. Quel finto frate francescano - in verità è un avvocato milanese salvinista - che gira tra i manifestanti sparlando di «Bergoglio il comunista» non diventa un eroe ma resta una macchietta agli occhi dei più.

Che non fanno la ola quando l’economista e parlamentare Borghi rispolvera la propaganda anti-euro, che Salvini ha già (almeno ufficialmente) dimesso definendo la moneta unica «irreversibile». Ma questo è anche il popolo del contante (la religione della card non gli appartiene), dei porti chiusi e della solitudine del cittadino globale che vuole essere difeso di più dallo Stato, mentre quelli della manifestazione berlusconiana qui a piazza San Giovanni nel 2006 non facevano che dire su tutto e per tutto: «Meno Stato».

Il Cavaliere prova a dire: 13 anni fa alla mia manifestazione c’era più gente». Forse è vero. Ma allora le piazze le riempiva anche la sinistra, adesso molto meno. Perciò il popolo della destra-centro si sente padrone della scena ma bisognerà vedere se, insieme ai suoi leader, sarà all’altezza di un momento complicato.

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