L’invasione degli ultra hipster

L’invasione degli ultra hipster
di Giorgio Biferali
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Domenica 17 Gennaio 2016, 00:47 - Ultimo aggiornamento: 18 Gennaio, 08:44
«C’è una sola grande moda: la giovinezza», diceva Leo Longanesi. E al giorno d’oggi, di giovinezze, se ne possono indossare tante. Si può essere estremamente dolci, sentimentali, mostrando a tutti la propria vulnerabilità (Twee), essere abili nelle pubbliche relazioni sui social, nei lavori di grafica, e pretendere di vivere della propria creatività (Yuccie), compensare la monotonia di un qualunque lavoro d’ufficio con un diversivo notturno più stimolante (Slashie), imitare gli esistenzialisti americani, evitando però di tagliarsi la barba e ricoprendosi le braccia di tatuaggi (Hipster).

A battezzare gli esistenzialisti americani con il nome di “hipster”, era stato lo scrittore americano Norman Mailer, in un saggio intitolato The White Negro, pubblicato di recente in Italia da Castelvecchi (pp. 45, 7,50 euro). Isolati, impauriti, paranoici, gli hipster si sentivano in empatia con i neri, che erano da sempre abituati a vivere nel terrore, emarginati, e a convivere con l’idea della propria morte. Improvvisamente i piaceri intellettuali venivano rimpiazzati da quelli fisici, e il jazz, «la musica dell’orgasmo», cominciava ad accompagnare le loro vite. Nella celebre poesia Urlo (1956), diventata poi il manifesto della generazione Beat, Allen Ginsberg vedeva «hipsters testadangelo bramare l’antico spaccia paradisiaco che connette alla dinamo stellare nel meccanismo della notte», che si perdevano «nel sovrannaturale buio di case con acqua fredda librati su tetti di città contemplando jazz». E il termine “hipster” nasceva proprio da lì, da uno sguardo un po’ alterato che faceva fatica a mettere a fuoco la realtà, da hop (oppio) e da hip o hipi (vedere o aprire gli occhi). E oltre alla crisi, al nichilismo, a un’esistenza priva di certezze, Mailer intravedeva in loro una natura profondamente infantile: «Come i bambini – scriveva – gli hipster aspirano alla dolcezza».

Quella dolcezza, quella timidezza nei confronti del mondo, quel bisogno di appartarsi, oggi è diventata una moda. Anche nelle grandi capitali europee, si aggirano uomini con i pantaloni stretti e la barba lunga e donne poco truccate con i jeans a vita altissima, che ascoltano la musica indie, che amano i personaggi dei film di Wes Anderson, e che spesso preferiscono mangiare bio ed evitare la carne. 
“Hipsteria”, come l’hanno definita I Cani, gruppo romano di grande successo nella scena musicale indie italiana, che raccontano con simpatia e anche con un certo distacco un mondo pieno di cliché e di «finte ansie», dove tutti sognano di andare in America a lavorare, che a Roma si sentono infelici, e alla fine si rifugiano in un parco a leggere David Foster Wallace. Ma come ogni moda che si rispetti, quella dei “nuovi hipster” è destinata a passare o a conservarsi in parte nelle nuove tendenze.

YOUNG URBAN
Gli yuccie (young urban creative) sono giovani che, secondo il blog americano Mashable, vogliono vivere della propria creatività, che pretendono di essere pagati ogni volta che vestono i panni del grafico, del blogger o del consulente marke[/FORZA-RIENTR]ting. Amano i dolci artigianali, fanno corsi di pittura e comprano i giornali solo nel weekend perché ci sono gli inserti culturali.

Glislashie, invece, sono quelli che di giorno fanno un lavoro d’ufficio e di notte diventano DJ o disegnatori di murales freelance. Concepiscono le giornate suddivise per slash, appunto, così da rendere la vita meno monotona e più vivibile. Spesso queste attività alternative degli yuccie e degli slashie si riducono alla cura dei blog e delle relazioni sui social, e rischiano di non essere retribuite. Quindi solo chi si muove su una solida base economica può permettersi la libertà di sentirsi un creativo di professione. 

DOLCE RIBELLIONE
E infine ci sono i twee, il cui nome deriva dal suono dei bambini che provano a pronunciare la parola sweet, che infatti fanno della dolcezza una nuova forma di ribellione, e hanno sempre lo sguardo rivolto al passato, al mondo puro e innocente dell’infanzia. Asociali come gli hipster ed esperti di nuove tecnologie come gli yuccie e gli slashie, sono un po’ come degli eroi romantici degli anni zero, che leggono Salinger e Safran Foer e si compiacciono della propria sensibilità. Così simili tra di loro, si pongono tutti la stessa domanda di Mr. Fox, la volpe protagonista del film d’animazione di Wes Anderson, tratto da una fiaba di Roald Dahl: «Perché sono una volpe? Perché non un cavallo, uno scarabeo, un'aquila di mare? Voglio dire, da un punto di vista esistenziale, mi spiego? Chi sono io?». 
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