L’industria frena a marzo però il Pil non è a rischio

L’industria frena a marzo però il Pil non è a rischio
di Oscar Giannino
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Giovedì 26 Maggio 2016, 00:22
Benvenuti nel mondo delle fat tails, cioè delle code lunghe e spesse. E’ un’espressione che si usa nello studio delle correlazioni economiche, per misurare le distribuzioni statistiche. E descrive meglio di tante altre la difficoltà di affidabili previsioni, viste molte delle caratteristiche che ha assunto l’economia mondiale. La riprova la stiamo osservando in Italia. Il fatto: secondo l’Istat, a marzo, rispetto al mese precedente, l’industria ha registrato una diminuzione sia per il fatturato (-1,6%) sia per gli ordinativi (-3,3%). Il dato negativo ha suscitato sorpresa e sconcerto. Vediamo di capire. Solo due settimane fa, l’Istat stimava preliminarmente la crescita del Pil italiano nel primo trimestre a +0,3%: finalmente si interrompeva verso l’alto il decalage che ci aveva visto scendere dallo 0,4% nel primo trimestre 2015 al lumicino dello 0,1%, alla fine dell’anno scorso. Come nei due trimestri precedenti, la ripresina italiana a inizio 2016 non era più trainata dalla domanda estera, visto che il commercio mondiale è in frenata per via della crisi dei Brics, ma dalla domanda interna, cioè dalla ripresa dei consumi e da primi barlumi di ripresa degli investimenti. Ciò renderebbe possibile un 1% o poco più di aumento del Pil nel 2016, inferiore alle attese del governo e a quanto crescerà in media la Ue: ma comunque la frenata precedente italiana a inizio 2016 cambiava di segno.

 

LA DOCCIA GELATA Pochi giorni dopo, i dati dell’osservatorio Inps sui contratti di lavoro nel primo trimestre 2016 rispetto al 2015: una doccia gelata. Nei primi tre mesi dell’anno meno 162mila contratti a tempo indeterminato sul 2015, meno 31% le trasformazioni da determinato a indeterminato, e al netto delle trasformazioni tra contratti, una differenza tra attivazioni e cessazioni negativa di 53.339 unità, cioè peggio del primo trimestre 2014 quando non c’era la decontribuzione alle imprese, e con solo il 33,2% dei nuovi contratti a tempo indeterminato mentre nel 2014 era il 36,2%. Ieri, come detto, la nuova grandinata. Per farla breve l’Istat rileva che l’industria italiana a marzo ha registrato la peggior frenata in termini di fatturato dall’estate 2013, con un -3,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. A determinare la caduta la prima frenata da fine 2013 della sin qui tumultuosa crescita a due cifre dell’auto, il vero settore a cui dobbiamo grazie a Marchionne il più della ripresina italiana. E il crollo di quasi un quarto del fatturato del comparto estrattivo e petrolifero (grazie anche alla bella pensata del referendum anti-trivelle). Dall’auto potevamo aspettarcelo dopo 2 anni di ripresona. La cosa più preoccupante è invece rappresentata dal calo del fatturato sul mercato domestico – brutto segno rispetto alla ripresa dei consumi di cui si vedevano i primi segni nel Pil – e dalla diminuzione degli ordinativi, insieme sia domestici sia esteri.

IL CIGNO NERO Ma torniamo alle code lunghe. Quando per le previsioni si applicano modelli dinamici di probabilità per calcolarne l’effetto di correlazione, se la distribuzione è più alta nel valore centrale con code lunghe e spesse, più sono lunghe e spesse più cresce la probabilità di osservare valori estremi. Fino a eventi-limite come il famoso “cigno nero”, su cui ha costruito la sua fortuna l’ex trader e ora massimo epistemologo dell’incertezza e della difficoltà delle previsioni economiche di crisi epocali, Nassim Taleb. A determinare andamenti così apparentemente contraddittori, peraltro dovuti alla correlazione di fattori di crescita ciascuno dei quali è (tranne l’auto) di poco superiore al centesimo di punto, sono infatti fenomeni mondiali che procedono a strappi, e che influenzano allo stesso modo le aspettative e le concrete propensioni delle famiglie e delle imprese italiane. Il saliscendi del prezzo del barile, di nuovo ora a quota 50 dollari, la tenuta della Cina rispetto all’eventualità di una crisi del suo sistema finanziario dovuto alla fuga di capitali e al credito sotto pressione, l’attesa incerta di nuovi aumenti dei tassi della Fed, le notizie sulla crisi brasiliana, i sussulti europei tra crisi di Schengen, voto austriaco e nuovo compromesso sulla Grecia: sono tutti fattori che ogni giorno si riverberano in un complesso gioco di interazioni sulla possibilità di tornare a un vero traino dell’economia italiana da parte dell’export. Di conseguenza, la lezione delle “code lunghe” e dell’incertezza è che bisognerebbe concentrarsi sui fattori abilitanti della crescita del mercato domestico: redditi, consumi e investimenti. Il governo Renzi ritiene di aver dato molte risposte: su Imu e Tasi, gli 80 euro, gli incentivi per i contratti, l’Imu e l’Irap agricola, il superammortamento al 140% alle imprese, il credito di imposta al sud. Ma l’incertezza rischia di risospingere verso il basso gli indici di fiducia che, per famiglie e imprese italiane, erano ai massimi in tutto l’Ocse a dicembre 2015.

IL TEMPO DEI BONUS Per contrastarla, è ora tempo non più di bonus discrezionali, limitati nella platea e nel tempo, ma di sgravi fiscali universali e a tempo indeterminato: su Irap, Ires, Irpef.
Più questi interventi saranno rilevanti, generali e irredimibili, cioè con coperture serie sostenibili nel tempo, più l’effetto sarebbe di dare solidità alla ripresa italiana. Non si può contare in eterno sulla Bce e i suoi interventi, che attualmente sono previsti cessare nel 2017. Perché dal mondo, per quanto si può vedere, l’incertezza rimbalzerà su di noi ancora per lungo tempo. 
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