Il presidente del Consiglio di Stato: «Aiutare le imprese con leggi semplici»

Il presidente del Consiglio di Stato: «Aiutare le imprese con leggi semplici»
di Andrea Bassi
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- Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 08:25
Palazzo Spada, nel cuore di Roma, ospita un piccolo gioiello dell’architettura. Una galleria realizzata da Francesco Borromini, che grazie all’uso sapiente della prospettiva sembra molto più grande di quanto realmente sia. È lunga meno di 9 metri, ma sembra coprire una distanza quattro volte maggiore. Quasi una metafora dell’istituzione, una delle più antiche dello Stato italiano, che lo stesso Palazzo ospita: il Consiglio di Stato, diventato suo malgrado, l’emblema della burocrazia considerata uno dei lacci allo sviluppo economico. «Vede», dice Alessandro Pajno, da poco nominato al vertice dell’Istituzione, «la giustizia amministrativa sindaca il potere pubblico. E il potere pubblico entra in tutte le questioni, da quelle economiche, a quelle istituzionali, fino a quelle personali. La sensazione, erronea, che se ne può trarre», ammette, «può essere di un eccesso di invadenza». 

Angelo Panebianco ha definito la giustizia amministrativa «organo vitale di quel ragno velenoso che impone regole asfissianti al corpo sociale». Romano Prodi come un elemento in grado di dissuadere gli stranieri dall’investire. Matteo Renzi ha sostenuto che negli appalti lavorano più gli avvocati che i muratori. Una falsa prospettiva come quella del Borromini?
«Credo che il ragionamento vada ricondotto ai dati di fatto. Che sono poco noti». 
 
Quali sono questi dati di fatto?
«La durata dei nostri procedimenti in materia economica, per esempio. Il tema sollevato dagli interventi che lei citava». 

Un processo civile in media ci mette otto anni per arrivare a sentenza definitiva. Voi quanto impiegate?
«Ecco una circostanza che l’opinione pubblica non conosce: per gli appalti, una delle principali materie economiche di nostra competenza, da quando viene presentato il ricorso fino alla decisione definitiva di secondo grado, passano tra i 14 e i 15 mesi in media, anche grazie ad un decreto dell’attuale governo». 

Vale solo per gli appalti?
«No. Nelle materie economicamente sensibili i tempi entro i quali definiamo un’istanza cautelare in primo grado sono di circa 40 giorni. Il primo grado nel merito lo esauriamo in 120 giorni, in appello ancora più rapidamente. Significa che al massimo in due anni il procedimento è chiuso in entrambi i gradi di giudizio. Il processo amministrativo è il processo più veloce in Italia. Inoltre a luglio entrerà in vigore anche il nuovo procedimento telematico con enormi vantaggi per gli utenti. C’è anche un altro elemento da considerare». 

Quale?
«I provvedimenti impugnati nella stragrande maggioranza dei casi resistono. Vuol dire che c’è una solidità delle decisioni». 

Ammettiamo che la giustizia amministrativa è efficiente. Ma è un fatto che davanti ai Tar e al Consiglio di Stato finiscono una mole enorme di contenziosi economici, rafforzando l’impressione di un ambiente respingente per l’iniziativa imprenditoriale...
«Questo però non dipende dai giudici amministrativi. Oggi c’è una bulimia legislativa. Abbiamo una selva di norme moltiplicate anche dalla pluralità delle fonti: nazionale, regionale, europea. Questo crea una serie di problemi che ovviamente avviliscono le imprese, che rendono oscure e complicate le cose. Se le norme sono contraddittorie e complesse è chiaro che l’attività del giudice ne sarà condizionata e sarà volta a sciogliere questi nodi». 

Come se ne esce?
«Con la semplificazione. Un tema sul quale rivendico con forza il ruolo dell’Istituzione che presiedo. Abbiamo redatto testi unici, dato pareri sulle codificazioni di settore, abbiamo sempre spinto in questa direzione. Ma lo stile di semplificazione si crea con il tempo e con la capacità politica di avere una strategia di lungo termine. Ci vuole una costanza che non sempre c’è stata da parte dei governi».

A proposito di questo. Al Consiglio di Stato stanno per arrivare i decreti di riforma della Pubblica amministrazione, il cui obiettivo è proprio la semplificazione. Che giudizio ne dà?
«Per ora ne abbiamo ricevuto uno solo, quello sulla trasparenza. Non posso esprimere un parere sui decreti che non conosco, ma posso dirle la mia idea sulla legge nel suo complesso. La riforma Madia ha un aspetto positivo, che è quello di avere un approccio sistemico. Sempre parlando di rapporti tra imprese e amministrazione, giudico positivamente, per esempio, la riforma della conferenza dei servizi che introduce un responsabile unico per i ministeri nel procedimento. Oggi capita spesso che nelle conferenze i ministeri arrivino l’un contro l’altro armati, con la certezza di bloccare il procedimento. Questo cambio di passo credo sia importante». 
 
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