Facebook nel mirino Ue per WhatsApp

Facebook nel mirino Ue per WhatsApp
di Alessandro Cardini
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Mercoledì 21 Dicembre 2016, 15:08 - Ultimo aggiornamento: 15:20
BRUXELLES - Informazioni ingannevoli, fuorvianti. Fornite per negligenza o, peggio, deliberatamente. È questa l'accusa della Commissione europea a Facebook, un'accusa per il momento preliminare che, se confermata nel corso dell'inchiesta, potrebbe portare in teoria a una multa alla società di Mark Zuckerberg pari all'1% della cifra d'affari annua (17,9 miliardi di dollari nel 2015). Le informazioni ingannevoli sono relative all'inchiesta antitrust aperta nel 2014 per valutare il progetto di acquisizione di WhatsApp da parte di Facebook, una operazione costata 19,3 miliardi di euro, poi sdoganata da Bruxelles. Per inciso, il via libera all'acquisizione di WhatsApp non viene messo in discussione dalla procedura avviata ieri dalla Commissione europea. Né è in gioco la protezione di dati privati.
Nella lettera di obiezioni firmata dalla responsabile della concorrenza Margrethe Vestager è spiegata punto per punto la ragione del giudizio preliminare negativo sul comportamento di Facebook nel corso dell'inchiesta. L'inganno o la negligenza riguardano un particolare aspetto dell'acquisizione di WhatsApp: il collegamento automatico affidabile tra gli account degli utenti delle due società. Nella notifica a Bruxelles della concentrazione e in risposta a una specifica richiesta di informazioni, Facebook aveva indicato di non essere in grado di associare automaticamente in maniera affidabile gli account.

LA LETTERA DI OBIEZIONI
Nell'agosto 2016, WhatsApp ha annunciato, tra gli altri aggiornamenti delle condizioni generali di utilizzo e della sua politica di riservatezza, la possibilità di associare i numeri di telefono degli utenti di WhatsApp ai profili degli utenti Facebook. Spiegando che l'obiettivo era migliorare le proposte di amicizia o presentare pubblicità più pertinente sugli account Facebook degli utenti di WhatsApp. A questo punto si sono materializzati i sospetti dell'Antitrust europeo, che dopo qualche mese ha concluso in via preliminare che «contrariamente alle affermazioni di Facebook e alla sua risposta alle richieste di informazione, la possibilità tecnica di associare automaticamente gli identificativi di utilizzazione di Facebook agli indentificativi degli utenti di WhatsApp esisteva già nel 2014».
Nella lettera di obiezioni viene indicato che Facebook ha fornito «deliberatamente o per negligenza» informazioni inesatte violando gli obblighi previsti dal regolamento Ue sulle concentrazioni. Non è solo una questione procedurale, è in gioco il modello di relazioni tra imprese e autorità Antitrust che deve fondarsi su dati veritieri e trasparenti. Innanzitutto nell'interesse delle stesse imprese oltrechè dei consumatori. «Le imprese sono tenute a fornire informazioni corrette e devono prendere questo obbligo con serietà perché l'esame oggettivo e in tempo utile da parte della Commissione dipende dall'esattezza delle informazioni fornite», ha indicato la commissaria Vestager. L'invio di una comunicazione di addebiti con il giudizio preliminare dell'Antitrust non pregiudica le conclusioni dell'inchiesta comunitaria e mette in condizioni Facebook di rispondere per via scritta o chiedere di essere ascoltata direttamente. Non è chiaro quanto durerà, per l'Antitrust europeo non c'è alcun vincolo temporale.