Emilio Isgrò: «Ho battuto Roger Waters, ma il nemico è la censura»

Emilio Isgrò: «Ho battuto Roger Waters, ma il nemico è la censura»
di Riccardo De Palo
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Giovedì 27 Luglio 2017, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 2 Agosto, 18:12
L’uomo che ha battuto Roger Waters è un grande artista che ha fatto della battaglia contro la censura la ragione della sua vita. Emilio Isgrò, nato a Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia, classe 1937, è piuttosto soddisfatto, nel suo studio milanese. «Sono contento di questo provvedimento del giudice Silvia Giani - dice - anche perché afferma un principio valido per tutti gli artisti: le opere vanno tutelate, non se ne può fare uso impunemente senza consenso». Ora, mentre la rockstar dei Pink Floyd dovrà ritirare il suo album con la copertina “copiata” dai negozi italiani (e forse ci saranno cause in altri Paesi) Isgrò dice soltanto: «Il mio intento non è nato da una volontà punitiva, ma dalla necessità di affermare un diritto. Qualunque somma mi venga riconosciuta per il torto subito - anticipa - la devolverò in favore di borse di studio che abbiano lo scopo di aiutare giovani artisti e musicisti».

Non è un po’ come chiedere i diritti a chi taglia di netto una tela, come Lucio Fontana?
«Posso dire che evidentemente il problema è stato risolto dalla saggezza del giudice, e non intendo commentarlo tecnicamente. Una domanda comunque me la pongo: tutti vediamo cadere le mele dagli alberi, ma solo Newton è stato capace di formulare la Legge della gravitazione universale vedendo cadere una mela. Sarebbe certamente iniquo togliergli il merito della sua scoperta».

Le cancellature, dunque, sono un suo marchio registrato, in qualche modo?
«Non sono io a dirlo, ma il pubblico e i critici. Tanto è vero che quando è apparso l’album di Waters, molti si sono complimentati con me per il lavoro fatto per la copertina del disco. Persino i critici hanno tirato fuori il mio nome. Mentre io non ne sapevo niente».

Non si potrebbe dire lo stesso di documenti con omissis per via del segreto di Stato?
«È importante per me che si riconosca il valore dell’arte contemporanea come forma espressiva degna di tutela. In ogni caso io ho portato avanti un lavoro sulla censura sin dagli anni Sessanta, quando ho fatto le prime cancellature. All’Istituto italiano di cultura parigino hanno allestito recentemente una mia mostra non per caso intitolata La cancellatura annulla la censura. È esattamente quello che ho fatto ai tempi del Vietnam, contro le purghe staliniane, contro i genocidi».

Un lavoro iniziato come denuncia.
«Sì. Poi naturalmente con gli anni l’ho articolato in un linguaggio capace di costruire, creando una nuova sensibilità. E su questo ho fondato tutta la mia opera».

Lei si è spinto fino a Pico della Mirandola...
«Esattamente, perché fu uno scrittore e un filosofo censurato. Il suo libro a stampa, le Conclusiones, che doveva essere oggetto di un concilio papale a Roma, fu il primo a essere bruciato dalla Chiesa, alla fine del Quattrocento. Ne ho trovato solo una copia alla biblioteca di Stoccarda (se ne salvarono, in tutto, soltanto cinque). L’ultima parte della mia mostra al Palazzo Reale di Milano, l’anno scorso, era proprio dedicata ai grandi censurati come Galileo, Savonarola... Ho combattuto sempre, come tutti gli artisti che lottano per le libertà umane».

C’è un po’ della sua terra nel suo lavoro?
«Vivo a Milano da tanti anni. Ma la Sicilia, con Milano, è stata la mia massima ispiratrice. Laggiù ho creato le grandi Orestiadi di Gibellina dedicate al teatro, e poi ho creato quadri, libri e poesie che dalle contraddizioni della mia isola traevano forza e vigore...»

Pensa all’omertà?
«A quello, ma anche al suo contrario, al desiderio di liberarsi dell’omertà. Ogni gesto artistico è leggibile in più modi, altrimenti diventa il documento di un notaio. La censura è fatta per velare, le cancellature servono invece a svelare. La mia è una medicina omeopatica contro tutti i censori. Oggi la grande comunicazione mediatica diventa una minaccia nei confronti dell’informazione. C’è un potere mediatico che non si sa bene da dove venga, né dove sia diretto. Una volta le fonti giornalistiche potevano essere protette. Ora lei lo sa da dove arriva una informazione?»

Non sempre è chiaro, è vero.
«La stampa ha sempre sofferto di controllo dall’alto. Ma oggi questo potere è diventato ancora più forte. Negli anni Sessanta, era il potere televisivo. Ho cercato in qualche modo di contrastarlo con il potere creativo».

Adesso qual è la più grande emergenza per la libertà d’espressione?
«Bisognerebbe capire come funziona realmente l’informazione globale. Altrimenti rischiamo forme di autoritarismo sempre più simili ai fascismi degli anni Trenta. Fino a quando non sapremo chi dirige i nostri passi, ci sarà sempre grande smarrimento e paura».

Un caso concreto?
«Una volta le lettere anonime si cestinavano. Oggi noi siamo bombardati da milioni di messaggi di questo tipo, su Internet, e non possiamo farci niente».

E chiedere il ritiro di una copertina non può essere letto come una forma di censura?
«La vera censura è quella di chi distorce il potere dell’arte, che è sempre liberatorio, e se ne appropria senza il suo consenso».

Il prossimo progetto?
«Il Centre Pompidou di Parigi esporrà alcune mie opere storiche, che ha acquisito di recente. E Sellerio pubblicherà a novembre la mia autobiografia».

Una anticipazione?
«Il mio incontro con Kennedy alla Casa Bianca, nel 1963, e l’intervista che riuscii a fargli. Poi racconterò di tutte le persone che ho incontrato, da Peggy Guggenheim a Ezra Pound, da Andrea Zanzotto a Eugenio Montale, a cui ero molto legato. E poi Quasimodo, Ungaretti, Lucio Fontana…

Quale di questi incontri straordinari l’ha influenzata di più?
«Fontana come artista mi ha emozionato molto. È uno di quei personaggi che ricordo più volentieri, perché l’ho conosciuto personalmente. Ma tutto mi ha emozionato... Se le dicessi che mi ha toccato più di ogni altra cosa il melodramma italiano lei non mi crederebbe ma è così. Ho amato più Verdi e Bellini che l’avanguardia».

Lei è un artista fuori dal coro.
«Guardi, ci sono due versi di Sandro Penna che dicono tutto: “Felice chi è diverso essendo egli diverso - Ma guai a chi è diverso essendo egli comune”. Diversi si nasce. Non si diventa tali a forza di marketing. Ho sempre vissuto l’arte come una ricerca laboriosa che dà frutti con la maturità. Ho i miei anni. Ho sempre concepito l’arte in maniera inattuale».

La curiosità mantiene giovani?
«La mia curiosità è rimasta intatta e intendo coltivarla finché potrò. Certamente le esperienze di tutti i giorni mi insegnano tante cose, che ci sono le persone coraggiose, che si battono per i loro diritti, per la loro libertà. Non dico per la verità, che può sembrare astratto, ma per ciò che si ritiene vero e autentico. Queste battaglie meritano di essere combattute».
 
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