De Vincenti: «Lombardia e Veneto, quei referendum inutili e costosi»

De Vincenti: «Lombardia e Veneto, quei referendum inutili e costosi»
di Diodato Pirone
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Sabato 23 Settembre 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 24 Settembre, 16:12
I riflessi dello scontro in atto in Catalogna rendono in qualche modo più viva l’attenzione verso i referendum “autonomisti” in programma in Lombardia e Veneto. Vede anche lei qualche correlazione, ministro De Vincenti?
«Non vedo alcun collegamento. I referendum in Lombardia e Veneto in realtà sfondano una porta aperta: per attivare, come chiedono i due quesiti referendari, la procedura dell’articolo 116 della Costituzione in materia di “ulteriori forme di autonomia” basta, come recita appunto la Costituzione, una richiesta della Regione al governo, sentiti gli enti locali. In sintesi, basta una lettera del presidente della Regione. E su questo il governo è del tutto aperto al confronto con le Regioni. Aggiungo che, comunque vadano i due referendum, da parte nostra c’è totale disponibilità al confronto».

Alcuni sindaci del Pd hanno aderito ai referendum autonomisti. Dove sbagliano?
«Rispetto le scelte che si fanno sul territorio, non c’è problema. Magari potevano più semplicemente ricordare ai presidenti di Regione che c’era la strada più rapida e meno costosa già indicata dalla Costituzione, quella della lettera».

Quanto costano questi referendum? In Spagna la Corte dei Conti vuole addebitare a singoli amministratori il costo del referendum catalano del 2014. E’ ipotizzabile una analoga iniziativa in Italia?
 «Come ho appena detto, io credo sia giusto rispettare le scelte che fanno gli enti decentrati. Comunque, i costi sui bilanci delle due regioni ci saranno, eccome. Dalle prime stime delle regioni stesse, circa 50 milioni per la Lombardia, una ventina per il Veneto. Seguendo la procedura indicata dalla Costituzione, che in ogni caso andrà seguita comunque vadano i referendum, quelle risorse potevano essere utilizzate per interventi sul territorio».

Il centrosinistra ha modificato la Costituzione in senso federalista nel 2001. Fu una buona idea?
«Nell’insieme è stato un passaggio positivo perché ha conferito maggiore autonomia ma anche maggiore responsabilità a Regioni e Comuni. Il punto che andrebbe corretto, ed è quanto abbiamo cercato di fare con la riforma costituzionale ma, come sappiamo, senza successo, era la sovrapposizione di competenze in alcuni campi importanti per la vita dei cittadini che richiedevano invece una più chiara e netta attribuzione di responsabilità tra Stato e Regioni. Ricordo comunque ai presidenti di Lombardia e Veneto, che si sono schierati per il no al referendum costituzionale, che la riforma che hanno contribuito a bloccare prevedeva la possibilità per le Regioni di chiedere forme di autonomia ancor più ampie di quelle che loro chiedono oggi».

Cosa risponde a chi dice che il governo Gentiloni è accentratore? Avete attenzione ai territori e alle energie locali (se esistono)?
«Il governo Gentiloni non è accentratore, piuttosto è un governo che, come il precedente governo Renzi, non ha paura di assumersi di fronte ai cittadini le responsabilità che spettano a un governo centrale, senza cercare alibi di sorta. La nostra attenzione ai territori è fortissima. Cito un solo esempio, i Patti con le Regioni e le Città metropolitane per gestire al meglio insieme i fondi di coesione nazionali ed europei. Lo abbiamo fatto anche con la Lombardia e non mi sembra che Roberto Maroni abbia avuto qualcosa da ridire, anzi!».

Lei si occupa di Mezzogiorno e di aree svantaggiate. Dica due o tre iniziative che stanno accorciando il divario Nord-Sud in particolare in riferimento alla fuga di giovani qualificati dal Sud.
«Ne dico tre. Il credito d’imposta per gli investimenti delle imprese nel Mezzogiorno ha già attivato da quando è entrato pienamente in vigore, cioè da aprile scorso, 2 miliardi e 900 milioni di nuovi investimenti al Sud. La decontribuzione per i nuovi assunti nel Mezzogiorno tra gennaio e agosto ha portato a 74 mila nuove assunzioni a tempo indeterminato. Con il decreto legge Mezzogiorno varato dal governo a giugno e approvato dal Parlamento ai primi di agosto abbiamo introdotto la misura “Resto al Sud”: capitale che lo Stato mette a disposizione dei giovani che vogliono fare impresa nel Mezzogiorno; si tratta di un investimento di 1 miliardo e 300 milioni che il governo fa sul protagonismo dei giovani meridionali».
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