Bowie, i ricordi dell'amica storica: «Quando David era ancora il mio Buddha delle periferie»

David Bowie e Mary Finnigan negli anni '60
di Cristina Marconi
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Mercoledì 13 Gennaio 2016, 01:16 - Ultimo aggiornamento: 15 Gennaio, 14:04
Un giorno sentì una musica provenire dal giardino e, incuriosita dal suono, invitò il misterioso chitarrista a casa sua a condividere con lei un po' di droga leggera. Era il 1969 e Mary Finnigan, divorziata trentenne buddhista e con due figli, aveva ben chiaro di avere davanti a sé qualcuno di straordinario, ma non poteva certo immaginare che quel ragazzo assorto e magrissimo, pieno di talento e dalla gentilezza disarmante - David Jones si chiamava - sarebbe diventato una stella non solo al di là della placida zona residenziale di Beckenham, alla periferia di Londra, ma in tutto il mondo, per mezzo secolo, come nessun altro. E certo non poteva immaginare che l'uscita del suo libro di memorie, Psychedelic Suburbia, "Periferia Psichedelica", sarebbe stata perfettamente sincronizzata con la morte dello stesso David Bowie e non, come pensavano ignari sia lei e che il suo editore, con il compleanno dell'artista e l'uscita dell'album Blackstar.
 
Mary, che ha vissuto una vita ben più tranquilla di quella del suo ex amante, non sembra essersi ancora ripresa dalla notizia della morte dell'artista e dalla notorietà immediata che questa ha regalato a lei e al suo libro.
Parla di David al presente anche se non era più in contatto con lui dal 1973, chiede di fare delle pause per riprendersi dall'emozione e racconta con lo slancio di chi non ha mai dimenticato quella stagione d'oro in cui Beckenham da soporifera è diventata vibrant, piena di energia, grazie alla sola presenza di un ragazzo. Una storia simile a quella raccontata da Hanif Kureishi nel suo Il Buddha delle Periferie, in cui uno dei personaggi, Charlie, incantevole giovanotto amante di donne e di uomini, è chiaramente ispirato a Bowie.

Cosa ha pensato la prima volta che ha incontrato David Bowie, in giardino?
«Che era un personaggio molto interessante, al di fuori di ogni categoria. Era gentilissimo, disordinato, molto generoso, sempre molto attento agli altri, carino con i bambini. Quando arrivava era come un fulmine per tutti i presenti, non risultava conformista neanche in mezzo all'anticonformismo di quegli anni. Come lui non c'è nessuno, e la sua morte ne è la prova finale. D'altra parte ci voleva lui per fare un album per dire al mondo che è morto. C'è tutto il suo spirito incandescente in questa mossa, tutta la sua attenzione per le cose che faceva, per come le faceva».

Lei ha vissuto con lui per alcuni mesi, come affittacamere e, in seguito, come sua amante. Poi siete rimasti amici anche quando è arrivata Angela, quella che sarebbe stata sua moglie per 10 anni. Poi vi siete persi di vista...
«L'ultima volta che l'ho visto era nel 1973. Avevo già dei figli quando l'ho incontrato e poi ciascuno ha fatto la sua vita. Ma il pensiero di lui è rimasto e ho trovato giusto raccontare quella parte della sua esperienza artistica di cui sono stata testimone. Ho scritto Psychedelic Suburbia perché questa parte della sua vita a Beckenham era stata ingiustamente trascurata dai biografi, ed invece è lì che si sono poste le basi del suo essere una star, è lì che ha scritto tante canzoni meravigliose. È stato il suo trampolino di lancio verso la tappa successiva, verso Ziggy Stardust. Ho avuto il privilegio di assistere a quel periodo incredibilmente fertile, a quella evoluzione e ho sentito il dovere di raccontarlo».

Lei descrive un ambiente fricchettone, molto spirituale e libero. Come faceva Bowie, di cui dice che preferisse l'alcol alla droga, a conciliare la sua produzione artistica con questo tipo di vita?
«Innanzi tutto David era un individuo pieno di sfumature, non lo si può mettere in una categoria. Era coltissimo, studiava tutti i temi, si interessava di tutto, dal teatro giapponese Kabuki alla letteratura allo spazio. È una cosa che bisogna tenere presente: David aveva letto di tutto, aveva una curiosità infinita, parlava con competenza delle cose, non era mai approssimativo. E poi era molto, molto disciplinato: non si riesce a raggiungere la sua produzione impressionante se non si ha metodo e determinazione nel fare le cose. Lui quella dedizione ce l'aveva, non si perdeva per strada, anche nella confusione apparente».

Era sicuro di sé? Aveva bisogno di conferme, consensi? Nel libro racconta che la casa di Foxgrove Road diventò presto 'la corte di Re David' e che la sonnolenta periferia diventò per qualche mese più vivace di New York.
«Io penso che David non abbia mai avuto alcun dubbio circa la sua abilità e il suo talento musicale. Gli piaceva sperimentare e stare in mezzo alla gente. Era molto legato al padre, che morì proprio quell'anno, nel 1969, mentre con la madre il rapporto era più difficile. Ma sapeva esattamente cosa stava facendo e cosa voleva fare».
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