L'incubo di Angelo: «Io, per 20 anni chiuso in cella da innocente»

L'incubo di Angelo: «Io, per 20 anni chiuso in cella da innocente»
di Mario Diliberto
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Venerdì 24 Febbraio 2017, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 20:47

Lo hanno assolto dall’omicidio del suo migliore amico. Un delitto che lui non ha commesso, ma per il quale ha scontato 21 anni in cella. Da innocente. Angelo Massaro, 51 anni da Fragagnano in provincia di Taranto, è scoppiato in lacrime quando ha ascoltato il verdetto della Corte d’Appello di Catanzaro. A quei giudici si era rivolto dopo un calvario fatto di processi e ricorsi, sino a sfociare nella revisione. Il tutto scandito dai lunghissimi anni trascorsi nelle galere di mezza Italia. 

La soglia del carcere l’aveva varcata quando aveva trent’anni. Bollato come l’assassino di Lorenzo Fersurella, trovato cadavere nel 1995 in una discarica. Quel ragazzo era il migliore amico di Massaro. Al punto che quest’ultimo lo aveva scelto come padrino di suo figlio. Su Massaro, però, dopo il delitto, si è abbattuto il verdetto di colpevolezza, con la condanna a 24 anni di reclusione. Una sentenza costruita su un’intercettazione in dialetto e sulla testimonianza frammentaria di un collaboratore di giustizia. Per decifrare correttamente quel dialogo catturato da una “cimice” e smontare la deposizione lacunosa del pentito ci sono voluti 21 anni. Un’eternità che Massaro ha trascorso in cella urlando la sua innocenza.

Riesce a spiegare quello che le è stato tolto?
«Credo che non sia possibile. Mi hanno privato di tutto e non c’è risarcimento che possa restituirmi la vita. Lo hanno fatto ingiustamente. C’erano le prove della mia innocenza, ma sono state tralasciate. Non accuso e non odio nessuno. Chiedo solo alla giustizia di spiegarmi cosa è successo. E di punire chi ha sbagliato».

A cosa ha pensato in tutti questi anni?
«Ho deciso che non dovevo arrendermi. Lo dovevo ai miei due figli. Li ho lasciati quando avevano due anni e mezzo il primo e 45 giorni il secondo. E lo dovevo a mia moglie Patrizia. Lei più di tutti ha sempre creduto nella mia innocenza. E mi ha dato la forza di non mollare».

Decisiva all’epoca è stata un’intercettazione.
«In realtà una parola. Un termine dialettale che è stato interpretato male. Dissi “mors” che vuol dire peso. Mi riferivo ad un bobcat che trasportavo. Venne tradotto come “morto”. Ma io ero altrove in quel momento ed era facile verificarlo».

Perché allora i sospetti si sono concentrati su di lei?
«Ero un capro espiatorio perfetto. Avevo precedenti per droga ed ero la pecora nera della mia famiglia. Il ritratto ideale del colpevole di un delitto misterioso. Hanno sostenuto che avevo ucciso Lorenzo per eliminare un concorrente nel mondo della droga. Una sciocchezza. Non ho mai spacciato con lui. Era un fratello, più che un amico. Ci siamo conosciuti all’asilo e siamo cresciuti insieme. Lui ha battezzato il mio primo bambino. Ho fatto scelte sbagliate da giovane, ma non sarei stato capace di uccidere. Soprattutto lui».

Eppure tanti giudici hanno confermato la sua colpevolezza...
«Tantissimi non hanno voluto vedere quello che, a mio avviso, era lampante. Pensi, però, che già nel 1999 in Cassazione il procuratore generale chiese l’annullamento della mia condanna. La Corte, però, preferì confermare il verdetto. Poi il buio e tanta galera. Sino a quando ho incontrato gli avvocati Salvatore Maggio e Salvatore Staiano. Farei una statua ad entrambi. Tanti loro colleghi mi hanno detto che dovevo lasciar perdere e accettare la sentenza. Ma io non potevo».

In carcere si è messo a studiare...
«Mi sono diplomato e poi ho cominciato a studiare Giurisprudenza. Ho iniziato a leggere i codici e alla fine mi sono iscritto all’Università. Ho sostenuto quattro esami e ho la media del 28,5. Voglio continuare. Sarà un modo per riprendermi la vita e riabilitarmi. Aggiungo che mi ha colpito molto scoprire che il nostro Paese è indicato come la culla del diritto. Nel mio caso, però, si è rivelato la tomba del diritto».

È vero che più di qualcuno le ha suggerito di confessare?
«Sì. Mi dicevano di ammettere per accedere ai benefici. Ma un innocente non può mai confessare. Mi spiace solo di aver ottenuto giustizia dopo troppi anni. E di aver vissuto con il dolore di non aver visto crescere i miei due figli e di non poter stare accanto alla mia splendida moglie. Oggi l’unico conforto è uscire a testa alta dal carcere. Da innocente, come sono entrato 21 anni fa».
 

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