Claudio Strinati: «La Roma di Mussolini? Una visione insuperata»

Claudio Strinati: «La Roma di Mussolini? Una visione insuperata»
di Mario Ajello
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Venerdì 13 Maggio 2016, 00:06 - Ultimo aggiornamento: 17 Maggio, 19:10
Professor Strinati, davvero Mussolini - come sostiene Alfio Marchini citando il nonno costruttore e comunista - «è stato il più grande urbanista di Roma»?
«Non so se sia stato il più grande, perchè non si possono fare classifiche in questo campo. Mi limito a fare un paragone. Quello tra il Duce e Domenico Fontana, che alla fine del ’500 era stato una sorta di Marcello Piacentini del suo tempo. Fu l’architetto, l’urbanista, il sommo ingegnere di papa Sisto V».
 
Non le sembra un po’ ardito questo parallelo?
«C’è una cosa che condividono i due. L’attuale via dei Fori Imperiali fu aperta dal Duce ma Fontana nel sedicesimo secolo aveva a sua volta preparato il progetto di un asse viario che collegasse piazza Venezia al Colosseo. Non realizzò quest’opera ma ne anticipò l’idea».

Benito l’urbanista?
«Mussolini ha avuto una visione generale di Roma. Della stessa grandezza e della stessa ambizione di un personaggio immenso come Fontana. Ognuno a suo tempo e ognuno a suo modo, entrambi hanno disegnato i principali assi della città. Il progetto di Mussolini è stato quello di creare una serie di città all’interno della città generale. La città universitaria di Piacentini è l’esempio massimo: dentro la città di Roma, una città tutta dedicata agli studi. Questo è stato un modello in tutto il mondo».

 
 
Come Cinecittà?
«Altro esempio, ancora più forte, di una città nella città, dedicata alla creazione artistica». 

Qual è, a suo avviso, l’edificio fascista più bello o più significativo?
«Il Palazzo della civiltà del lavoro all’Eur. E’ la quintessenza della concezione metafisica dell’arte italiana che diventa oggetto».

Un quadro di De Chirico che si fa realtà?
«Esattamente. L’immaginario che si fa materiale». 

Merito del Duce?
«Il merito di Mussolini è stato quello, prima della fase negativa e distruttiva, di individuare i talenti e di farli lavorare».

Gli statisti democratici questa capacità l’hanno avuta di meno?
«Ce l’hanno avuta, ma Mussolini era facilitato dal fatto che ha pensato di avere una missione ben precisa. Quella di ricostruire lo spirito della cultura italiana. E così, ha cercato di individuare coloro che avevano l’attitudine a costruire. Puntare su Piacentini, che era un costruttore formidabile, è stato come puntare su Gentile nel campo dell’educazione perchè egli costruì la nuova scuola e l’Enciclopedia italiana. Noi sappiamo bene che, nell’ambito del costruire, l’unico metodo che funziona è la meritocrazia».

Sta dicendo che Mussolini non usava la raccomandazione?
«Nella fase buona ha avuto questo merito. Poi c’è stata la fase catastrofica. Va riconosciuto però che la fase buona, in campo culturale, è stata buona veramente». 

A sinistra spesso si è lodato in privato la grandezza urbanistica del fascismo e la si è deprecata in pubblico. Chi ha avuto il coraggio di rompere questa doppiezza?
«Non lo so. Credo comunque che bisogna considerare questo. Nella fase buona, Mussolini si portava appresso il retaggio di una cultura e di una mentalità socialista e sviluppava una politica assai di sinistra. Per questo motivo molte persone di sinistra hanno trovato familiare le idee architettoniche del fascismo. Mario Sironi, pittore fascista per eccellenza, parlava del dovere dell’artista di essere veicolo della cultura verso il popolo. Ma non della cultura fascista: della cultura in sè. Mussolini diceva di lui: siamo proprio sicuri che Sironi è fascista? E aggiungeva: però dice delle cose molto giuste. E forse, al Duce, veniva il dubbio interiore: ma sono sicuro di essere fascista?».

La città fascista regge o no nella società moderna?
«Direi di sì. Ma del resto anche la città rinascimentale resta adatta ai tempi moderni. Ciò che rende ancora valida l’architettura fascista, al netto di certo vuoto trionfalismo, è la sua radice razionalista che è il cuore dell’architettura moderna». 

Che cosa manca, oggi, per fare di Roma un faro in questo campo?
«Manca l’idea che la città moderna deve essere integrata: non può avere un centro e delle periferie. Quando si arriverà a superare questo concetto di separatezza, allora comincerà una nuova era per l’architettura nella Capitale. Ma ancora non ci siamo». 
 
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