Il circo è morto, viva il circo: Barnum chiude i battenti dopo 146 anni

Il circo è morto, viva il circo: Barnum chiude i battenti dopo 146 anni
di Marica Stocchi
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Lunedì 16 Gennaio 2017, 00:31 - Ultimo aggiornamento: 20 Gennaio, 10:20
Il Circo Barnum chiude dopo 146 anni di spettacoli. Nani e ballerine, donne barbute e donne cannone, acrobati, illusionisti, giocolieri, clown, cavalli e cavallerizzi, tigri, leoni, elefanti, cammelli: si spengono le luci sul «più grande spettacolo del mondo». Perché proprio così - The Greatest Show on Earth – lo definì nel 1872 il suo fondatore, Phineas Taylor Barnum, maestro nel miscelare i più diversi ingredienti di spettacolo per nutrire d’incanto e paura piccoli e grandi spettatori. Kenneth Feld, oggi presidente del Ringling Bros. e Barnum & Bailey Circus, ha annunciato la decisione ai suoi dipendenti sabato, dopo gli spettacoli ad Orlando e Miami: restano trenta date, dopo aver cancellato quelle di di Atlanta, Washington, Philadelphia, Boston e Brooklyn, gli ultimi due show saranno a Providence, Rhode Island, il 7 maggio e all’Uniondale di New York il 21 maggio Le ragioni della scelta sono molteplici: dal calo del pubblico - che allarma tutto il mondo dell’entertainment - combinato a un aumento dei costi di gestione, alle battaglie politiche contro chi difende i diritti degli animali coinvolti.

LE RAGIONI
«Non c’è una sola motivazione per la chiusura – ha detto Feld – ed è stata una decisione molto difficile per me e per tutta la famiglia. Il circo e le persone che ci lavorano sono sempre state per noi una fonte di ispirazione e gioia». La famiglia Feld ha acquistato il circo Ringling nel 1967 e, da allora, «il nemico più temibile è stato il passare del tempo», ha spiegato il presidente: perché «la vita nomade inserita nella società contemporanea ha costi insostenibili, soprattutto se si vuole mantenere il prezzo del biglietto d’ingresso su cifre accessibili», ma anche perché «quando abbiamo rilevato il circo Barnum lo show durava tre ore, la versione attuale è di due ore e sette minuti, con il numero della tigre, il più lungo, di 12 minuti: provate voi oggi a tenere seduto un bambino di tre o quattro anni per 12 minuti…».

A tutto ciò si è aggiunto poi il duro colpo che l’azienda ha subito lo scorso maggio quando, a seguito di una lunga e costosa battaglia legale contro il maltrattamento degli animali nel circo - peraltro vinta dalla famiglia Feld - il Barnum ha scelto di rimuovere dal proprio show il numero degli elefanti. La perdita dei pachidermi, da sempre simbolo del grande circo, ha inciso fortissimamente sulla vendita dei biglietti. «Questa è la fine dello spettacolo più triste della terra – ha commentato alla notizia della chiusura Ingrid Newkirk, presidente di People for the Ethical Treatment of Animals – che spero convinca tutti i circhi con animali a fare lo stesso».

Ed è indubbio che negli ultimi anni l’arte circense abbia subito delle profonde trasformazioni seguendo forse il gusto di molti spettatori che, non più attratti dal gioco degli animali, soffrivano l’innaturalità e, talvolta, la crudeltà degli esercizi cui elefanti, tigri e leoni erano sottoposti. La nascita del noveau cirque in Francia, nella seconda metà del novecento, ha così incoraggiato lo sviluppo di nuovi generi che alle tradizionali discipline circensi hanno affiancato arti teatrali come la danza e il mimo. Il circo quindi si apre alla sperimentazione, lo dimostra lo straordinario e originale sviluppo del Circo di Mosca negli anni Ottanta o la nascita del celebre canadese Cirque du Soleil nel 1984. Proprio l’esperimento canadese, dove acrobazia, colori, luci, musica e coreografie puntano a lasciare a bocca aperta lo spettatore, ha sfidato la velocità e la ricchezza delle nuove forme di intrattenimento e ha vinto con incassi da record. Il Cirque du Soleil è in gran forma, infatti, e, dopo le rappresentazioni a Londra e Vienna, sarà a Roma con “Amaluna” dal 30 aprile prossimo. Inoltre, esistono artisti come Bartabas che attingono a piene mani all’arte circense.

In Italia i nuovi modelli di circo contemporaneo hanno trovato terreno fertile solo recentemente dando vita a nuove compagnie e ibridazioni, senza però oscurare le esperienze delle grandi famiglie circensi italiane come Orfei e Togni. E se il volume d’affari del circo tradizionale è passato nel nostro Paese da oltre tredici milioni nel 2011 ai nove milioni e settecentomila tre anni dopo, l’Ente Nazionale Circhi risponde con orgoglio: «Non siamo solo artisti – ha dichiarato il presidente Antonio Buccioni - siamo anche imprenditori e come tali non spendiamo tempo e soldi in un’impresa che non funziona. Se siamo ancora qui vuol dire che la baracca sta in piedi».


LA SCOMMESSA
Non è certo facile stabilire quanto un’arte antica come quella del circo, che per secoli si è nutrita di spunti di ogni genere – e se oggi una delle ragioni della discordia è l’uso degli animali, ricordiamo che Barnum si definiva un mistificatore e usava ogni mezzo pur di fare spettacolo – debba e possa rinnovarsi per rispondere a una società che cambia e che, inevitabilmente, impone nuovi modelli e tempi di intrattenimento. Certo è che il desiderio di abbandonarsi alla magia e alla meraviglia non morirà mai e la scommessa rimane sempre la stessa: conquistare l’immaginazione dello spettatore.
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