Innanzitutto, lei è un uomo religioso?
«Non direi. Sono stato allevato nella Chiesa Battista, ma una volta cresciuto mi sono allontanato dalla fede. Oggi non ho nulla contro, sono aperto e rispettoso di qualunque culto ma non posso definirmi una persona religiosa».
Qual è stata la sua reazione, quando Scorsese le ha proposto il ruolo di un missionario?
«Ho provato una grande eccitazione e un’ancora più grande incredulità. Sono cresciuto con i film di Martin e non potevo credere che lui volesse proprio me. Molti altri attori avrebbero pagato per essere al mio posto».
Silence ha lasciato una traccia nella sua anima?
«Mi ha insegnato a pormi molte domande. Anche il mio mestiere è questione di fede e devi sempre interrogare te stesso prima di prendere decisioni importanti».
Qual è il ricordo più potente del set?
«Mi ha incantato lavorare con Scorsese, vederlo entusiasta come un regista alle prime armi. È sempre pronto a scoprire strade nuove. Tutto ha un senso per lui».
E qual è stata, per lei, la sfida più difficile?
«Perdere 22 chili. Ci sono riuscito mangiando poco, bevendo ettolitri d’acqua, correndo ogni giorno».
Un training che avrà probabilmente sperimentato da marine. Quando e perché si è arruolato?
«Firmai dopo l’11 settembre. Non avevo ancora compiuto 18 anni e volevo mettermi al servizio del mio Paese ferito. Poi, in seguito a un infortunio, lasciai l’esercito e mi iscrissi ad una scuola di recitazione».
Le manca, ogni tanto, la vita sotto le armi?
«I primi tempi provavo nostalgia, ora non più. Mi resta il ricordo di un mondo in cui tutto ha un significato, dal modo in cui marci a quello in cui indossi la divisa: anche nella recitazione niente è lasciato al caso».
Ci sono altre analogie tra l’ambiente militare e il cinema?
«In entrambi i casi, fai un lavoro di squadra e devi obbedire agli ordini di un capo. Non mi dispiace affatto».
È soddisfatto, Driver, della sua carriera?
«È una domanda che mi pongo spesso. E mi rispondo di sì. Certo che sono contento. Non avrei mai pensato di arrivare tanto in alto e di essere diretto dai maestri che da piccolo mi facevano sognare».
La partecipazione a Star Wars ha cambiato la sua vita?
«Ha reso le cose più facili. Una saga di quelle proporzioni mi permette di girare anche dei film più piccoli, che non avranno molto pubblico».
In Paterson interpreta un autista di bus poeta e romantico. È così anche nella vita?
«La poesia l’ho scoperta tardi e non credo di essere contemplativo come il mio personaggio (ride, ndr)».
Che ricordo ha della lavorazione di Hungry Hearts?
«È stato fantastico fare un pezzo di strada con Costanzo e Alba Rohrwacher, una delle attrici più intelligenti e più spiritose che abbia mai incontrato».
Girerebbe un film di supereroi?
«No, non è per questo che ho fatto l’attore. I supereroi, per me, sono i registi con cui ho la fortuna di lavorare».
Che effetto le fa essere considerato un sex symbol?
«Ma io non mi sento affatto un sex symbol. E mi pare incredibile che qualcuno mi veda così».
© RIPRODUZIONE RISERVATA