Mitomani, siamo stati tutti Manuel Fantoni - di C. Verdone

Mitomani, siamo stati tutti Manuel Fantoni - di C. Verdone
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Giovedì 8 Giugno 2017, 00:27 - Ultimo aggiornamento: 16 Giugno, 17:10
di Carlo Verdone

Montesquieu diceva che il caldo alimenta la lussuria e la mollezza morale. E anche la mitomania è una questione geografica. Esiste forse uno scenario migliore di Roma in cui crescere il perfetto mitomane? È la città stessa che lo alimenta. La sua bellezza e la sua magnificenza sono la conseguenza della mitomania dei papi e degli aristocratici. Quello che ammiriamo è il risultato esemplare di un conflitto tra mitomani. Certo, hanno avuto anche il grande intuito di chiamare artisti eccelsi. Così come gli antichi Romani, megalomani e spacconi, volevano stupire il mondo: enormità, archi, porte, monumenti, grandiosità. «Mi avete dato una città di pietre e ve la restituisco in marmo», aveva detto Cesare Augusto al popolo. E poi se n’era andato. Era vero. Tuttavia esistevano, allora come oggi, le ombre e le miserie umane. 

VANAGLORIA
Roma è sempre stata una città vanagloriosa divisa in due: grandeur e miseria (.... Qui c’è una meravigliosa vanità. E spesso è vuota. Il megalomane che ha talento è un dono del destino, quello che ne è privo è solo un uomo ridicolo. Quand’è che gli straccioni hanno cominciato a considerarsi principi? Ho conosciuto molti mitomani. Se non li avessi conosciuti, non sarei stato in grado di raccontarli così bene nei miei film. (...)Da ragazzo ho conosciuto gradassi e bulli, ma mi sono imbattuto nei veri e propri mitomani nel mondo degli adulti. Persone che hanno raccontato chili e chili di fandonie convinte del contrario. Uno era un pittore di un discreto successo, amico di Corrado Cagli. Me lo aveva presentato quando ancora andavano d’accordo. Mite, mistico, capelli bianchi lunghi, la faccia da artista. Come pittore non era male, ma il suo vero talento era un altro… Una volta a cena qualcuno gli ha chiesto: «Hai lo stesso cognome della famiglia veneziana, sei parente?Z». «Certo!» «E quel palazzo famoso a Venezia…» «È della mia famiglia». Siamo rimasti tutti stupiti. (...) Una volta gli abbiamo detto che avevamo invitato Angelo Maria Ripellino, un grande studioso di lingue slave, e che avremmo proiettato un film di Teschner. Siccome si era vantato di conoscere il tedesco come l’italiano gli abbiamo chiesto di aiutarci con la traduzione. «Ma certo», ci ha rassicurato. È partito il 16 mm, e i sottotitoli in tedesco. Mio padre gli fa: «Ti dispiace darci una mano, io non so bene il tedesco…». Le immagini del film e i sottotitoli scorrevano, ma il nostro pittore taceva. Noi lo guardavamo in attesa della traduzione. «Che cosa intende dire, che lei si è trasformata in un fiore?» «Sì, dovrebbe essere così», rispondeva imbarazzato. (...) Tutti noi ci eravamo guardati con un’espressione basita. Stavamo pensando la stessa cosa: «Questo è un cazzaro». Prima della fine della proiezione, ha inventato una scusa. Doveva andar via. «Scusate, ma da stamattina ho un violento mal di testa».(...) Alla fine Ripellino ha detto: «Questo sa il tedesco meno di noi!».(...) Sparì, non lo abbiamo più visto dopo quella serata con i sottotitoli e le nostre facce severe. Un altro mitomane l’ho conosciuto che avrò avuto ventidue o ventitré anni. (...) Era un prete, anzi il prete amico di Fellini. «Ho sentito Federico, ho parlato con Federico, ho visto Federico». Non era vero niente. Una volta che Fellini era a cena da noi gli abbiamo domandato del grande rapporto con questo sacerdote. «Non lo vedo da vent’anni! È un pazzo e racconta un sacco di bugie». Molti mitomani interpretano alla perfezione la parte che hanno inventato e finiscono per credere alle cazzate che dicono. È una patologia, ma pure una fonte di grande ispirazione. Tutto quello che c’è in Un sacco bello mi è stato suggerito da un mitomane esistente: Enzo il bullo che descrive agli infermieri gli incidenti incredibili cui ha assistito, o che racconta di quando al Palazzo dello sport, al concerto dei Genesis, una minorenne l’aveva sedotto commentando: «Certo che la situazione di ’sti giovani d’oggi». Però il mitomane spesso non ha buona memoria. Ne dice talmente tante che alla fine perde la sceneggiatura del primo racconto. «Lo sai che mi hai ispirato?», gli ho detto un giorno. «Eh, ho sentito. Hai fatto bene». «Quando hai raccontato – ho cambiato di proposito il luogo – di quella che ti seduce all’Adriano! Fantastica». Ma non era all’Adriano, era al Palazzo dello sport.(...) Lui avrebbe dovuto correggermi, ma niente. Dava per buona la mia versione. Forse aveva dimenticato la sua. Non li contraddico mai i mitomani, così possono scorrazzare nei loro racconti. Moltiplicano i livelli di narrazione sentendosi al sicuro. Molti di loro non accettano di essere quello che sono e si danno un tono, o almeno cercano di farlo. Che imbarazzo! Gli spettatori dei mitomani provano tenerezza quando sono scoperti e messi in un angolo. E anch’io provo tenerezza. Sono innocui, deboli, fragili. (...) Molti di loro soffrono di una forma di complesso di inferiorità. Perché sono molto grassi e se ne vergognano, perché sono privi di fascino o talento o sono terribilmente banali. Cercano in tutti i modi di nascondere l’insoddisfazione e la propria mediocrità inventando storie e virtù che non hanno. Il mitomane non è più e solo un semplice cazzaro. Reitera (...) Il mio primo coetaneo mitomane era un compagno di scuola che pesava cento chili e veniva da una piccola città. La classe lo ha preso per il culo per tutto il tempo che è rimasto con noi. (...) Un giorno ci ha detto: «Devo farvi una confessione, io e Romina Power stiamo insieme». Uno gli ha tirato un cancellino, prendendolo in fronte. Tutti gli altri sghignazzavano ferocemente. «Guardate che bella lettera che mi ha scritto», ha insistito.(...) Lo abbiamo lapidato. Dal quel giorno non abbiamo più smesso di chiamarlo con il doppio cognome: il suo più Power. Ha resistito un altro anno e poi non è più tornato.

BRIAN JONES
E poi una mia amica di quando avevamo 18 anni. Era l’epoca dei concerti dei Beatles e dei Rolling Stones e lei era una grande rockettara. Una sera mi ha confessato di essersi fatta una bella scopata. «Oddio, e con chi?», le ho chiesto. «Brian Jones...stava all’Hassler, io e una mia amica siamo andate lì, abbiamo portato Brian e Mick Jagger a Ostia. A Mick gli piaceva più Ornella, io sono stata con Brian». Era talmente tenera che non l’ho contraddetta. (...) C’era una grande patologia ma pure una vena dolente e poetica. Il sogno che viene trasformato in realtà. Sono sceneggiatori fenomenali. Non ce la faresti mica a inventare quello che dicono. Oggi con l’Internet la mitomania s’è diffusa come un morbo. Dagli anni Ottanta, in modo sempre più patologico, la società ci ha convinto che più hai e più sei importante. Più appari e più sei stimato. Macchina, orologio, ambiente e amici. Negli ultimi trent’anni è esplosa: un esercito di mitomani alla conquista del mondo. Se penso al nostro ex Presidente del consiglio… era un avanguardista. Oggi mi sembra una persona normale. Forse gli abbiamo dato troppo addosso. Scusaci, Silvio. E poi quanti dovrebbero ringraziarlo? Alcuni giornali sono rimasti in piedi solo per parlarne male. La nipote di Mubarak è una storia straordinaria. Un grande racconto mitomane. Meglio di Brian Jones! (...)
 
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