Carceri, schedato il dna dei detenuti

Carceri, schedato il dna dei detenuti
di Cristiana Mangani
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Domenica 12 Giugno 2016, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 18:39
Un detenuto straniero rinchiuso nel carcere di Regina Coeli è il primo nome inserito nella nuova Banca dati del Dna. L’uomo è stato sottoposto a prelievo di un campione della mucosa del cavo orale, dopo l’entrata in vigore del Regolamento attuativo della legge istitutiva della Banca. La raccolta ha dovuto tenere conto - secondo quanto detta la legge - «del rispetto della dignità, del decoro e della riservatezza di chi viene sottoposto».

Ci sono voluti sette anni, per far sì che i profili genetici di chi finisce in manette o viene condannato, finissero in una sorta di cassaforte, oggi più che mai utile soprattutto in tempi di terrorismo e criminalità super sofisticata. Il lavoro era cominciato il 30 giugno del 2009. Il Consiglio dei ministri lo ha licenziato a marzo scorso: 36 articoli dettagliati, per i quali sono stati necessari approfondimenti particolari vista l’invasività dell’accertamento. Si sono dovuti pronunciare il Garante della privacy, il Comitato nazionale per la biosicurezza, il Consiglio di Stato. E si è arrivati a ieri quando il “data base” ha cominciato a riempirsi, alimentato anche da altri 137 prelievi fatti su detenuti in varie carceri italiane. Lo strumento è considerato fondamentale per la lotta alla criminalità, per la ricerca degli scomparsi, per la soluzione dei “cold case”, ma anche per il contrasto all’eversione e al terrore.

LE REGOLE
A dare notizia del primo prelievo è stato il Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. «L’esame a Regina Coeli - hanno informato - è stato attuato da personale della Polizia penitenziaria appositamente formato per questa attività. Lo stesso è stato fatto in altri istituti penali del Paese. Una volta raccolto, il campione è stato inviato al Laboratorio centrale per la banca dati nazionale del Dna istituito presso il Dap a Rebibbia e dotato di macchinari robotizzati per le varie fasi di tipizzazione del profilo genetico. Successivamente sarà mandato alla Banca dati nazionale istituita presso il Dipartimento di pubblica sicurezza». Non si potrà entrare in possesso del codice genetico in modo indiscriminato. Il prelievo potrà essere fatto solo a detenuti per reati non colposi per i quali è consentito l’arresto facoltativo in flagranza, arrestati in flagranza di reato o sottoposti a fermo di indiziato di delitto. Esclusi tutti i reati non violenti, come illeciti societari o tributari.

L’accesso ai dati contenuti nella Banca dati è consentito alla polizia giudiziaria e all’autorità giudiziaria esclusivamente per fini di identificazione personale, nonché per le finalità di collaborazione internazionale di polizia. A seguito di assoluzione con sentenza definitiva perché il fatto non sussiste, perché l’imputato non lo ha commesso o perché il fatto non costituisce reato, è disposta d’ufficio la cancellazione dei profili del dna e la distruzione dei relativi campioni biologici. Il controllo è esercitato dal Garante per la privacy. Quarant’anni il termine massimo per cancellare il profilo, 20 quello per distruggere il relativo campione biologico.

LE POLEMICHE 
Le modalità dell’esame realizzato nel carcere di via della Lungara non sono piaciute a tutti, e a sollevare le prime polemiche è stato il Sappe, sindacato della polizia penitenziaria, che ha contestato di non essere stato ammesso nel momento in cui veniva effettuato il prelievo. «Un fatto storico - ha spiegato il segretario Donato Capece - dal quale sono state tenute fuori le rappresentanze sindacali».

 
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