Padre Georg Gänswein: ​«Benedetto, grande Papa che non è stato ascoltato»

Padre Georg Gänswein: «Benedetto, grande Papa che non è stato ascoltato»
di Franca Giansoldati
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Venerdì 14 Aprile 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 15 Aprile, 18:47
CITTÀ DEL VATICANO Dalla cima di quel cocuzzolo osserva da lontano la città. Immagina la musica di Respighi, i Pini e le fontane di Roma. Ripensa agli anni del Concilio, alla sua formazione, alla sorella Maria che non c’è più. Esce ormai di rado dal convento, Joseph Ratzinger. Le gambe non reggono più come un tempo, quando avanzava con passo spedito, un basco nero in testa, quattro volte al giorno, per andare e tornare da piazza della Città Leonina al Sant’Uffizio. Il tempo del ritiro lo impiega ad ascoltare. Ascolta la gente. Ha una corrispondenza fittissima con interlocutori di tutto il mondo. Ha sempre preferito l’uso della parola scritta, il papa emerito. Il Logos, la Parola. È stato catturato sin da ragazzo dal mistero delle scritture nel quale era racchiuso il mistero della vita. Chi lo accudisce come un figlio, don Georg Gänswein, descrive un nonno sapiente, dai capelli bianchi e il cuore gentile.

Il Papa emerito parla della morte?
«Sì ogni tanto gli capita, ma non è una sua ossessione. Non è un pensiero ricorrente. Benedetto XVI quando decise la rinuncia, da uomo libero, ha scelto di salire sul monte, metaforicamente, una preparazione per il passaggio che verrà. Un tempo c’era l’ars moriendi, il cammino che separava al momento dell’abbandono a questa vita e l’inizio di una nuova. La morte la considera come una cosa normale, che fa parte della vita umana. Posso dire che è una persona serena. Ha l’anima in pace e il suo cuore è allegro».

Lei un po’ di tempo fa ha detto che il tempo passa per tutti; faceva riferimento al fatto che non vede più da un occhio…
«Sì non può vedere da un occhio ma si tratta di una cosa vecchia. Una ventina d’anni fa ebbe una emorragia e una embolia. Le conseguenze si sono riflesse sulla vista. Da quel momento la sua attività ne ha risentito. Da un occhio non vede ma domenica festeggia i 90 anni pieno di energie. Certo è un uomo che è diventato vecchio, fa fatica a camminare e utilizza il girello. Non riesce a lavorare a dei testi scientifici come un tempo, ma scrive ancora e tantissimo. Ha una corrispondenza enorme, da tutto il mondo. Gli arrivano libri, scritti, lettere. E lui risponde. Naturalmente la corrispondenza richiede tempo e forze. Medita ogni risposta, non è mai qualcosa fatto a caso».

Riceve anche visite?
«La lista di coloro che vorrebbero vederlo è sterminata. C’è tanta gente che chiede preghiere, vuole manifestare il proprio dolore per un lutto, racconta esperienze di fede, si lascia andare a confidenze e lui si lascia coinvolgere. La preghiera è per tutti il tramite. La considera una forza enorme, una fonte di energia, un veicolo di positività. In quel modo sa che è vicino ad ognuno di loro».

È quello che aveva promesso quando si è ritirato nel monastero?
«Esatto. È convinto che la preghiera sia l’apostolato numero uno. Mediante la preghiera sente di poter essere vicino ai fedeli».

E Papa Francesco come lo sostiene?
«Lo supporta, gli è vicino, prega per lui. Si è creato un bellissimo rapporto. Quando viene Francesco al monastero si vede quanto sono vicini idealmente. Francesco mercoledì è venuto per gli auguri di Pasqua e per il compleanno. Non manca mai di invitarlo a celebrazioni importanti, concistori. Ed è un rapporto che va al di là della circostanza in sé, della buona educazione».

Molti sostengono che non siano poi così vicini come si vorrebbe fare credere. È vero?
«Tra loro c’è affetto. Si vogliono bene. Si vogliono davvero bene, lo scriva perché è vero. C’è una cordialità sincera, un trasporto emotivo e quando due persone sono vicine queste cose si vedono, si capiscono, anche se hanno naturalmente differenze di carattere».

Perché il fratello Georg che vive a Ratisbona e ha 93 anni non si è trasferito definitivamente a casa del Papa emerito?
«Ora verrà per Pasqua e per Pasqua non era mai venuto prima. Al monastero ha una sua stanza ma non ha mai voluto trasferirsi. Credo sia dettato da un fatto legato alle proprie abitudini che si consolidano quando uno va in là con l’età. Don Georg riceve continuamente visite dai suoi ex allievi del coro DomSpatzen. Insomma, vi sono abitudini che forse fanno parte di un tessuto proprio. In ogni caso si sentono ogni giorno».

A Pasqua gli farete una bella festicciola per i 90 anni?
«Domenica, visto che è Pasqua, resteremo in famiglia, tra di noi, a festeggiare. Una cosa piccola. Il compleanno lo ricorderemo il giorno dopo. Abbiamo pensato a qualcosa di bavarese. Un piccolo gruppo di vecchi amici, gli schutzen, cibi tradizionali, canzoni bavaresi. Ma non saremo più di una trentina».

Joseph Ratzinger le sembra una persona felice?
(Don Georg ci pensa un po’) «La parola che credo possa descrivere il suo cuore è gioia. La felicità in sé per lui non rappresenta una categoria della fede, o addirittura non appartiene a questa dimensione. La gioia, invece, è il frutto visibile della fede. La felicità va e viene, la gioia resta. E credo che lui abbia la gioia dentro. Glielo leggo negli occhi».

Osservando l’Europa di oggi, non si sente un po’ fallito per come sta andando, lui che per anni si è battuto perché il continente riconoscesse il valore delle sue radici e si desse dei confini ideali capaci di cementare popoli e Stati e impedire l’avanzata di forze centripete?
«Lui ha cercato in tutti i modi, da cardinale e da Papa, di attirare attenzione alle radici europee. Ha insistito nel fare capire che l’Europa prima di essere politica doveva riconoscere di avere un’anima e un cuore. Parlava di Atene, Roma e Gerusalemme, come triangolo fondante. Ma non si sente affatto un fallito, semmai una persona alla quale non è stata data sufficiente attenzione. E per molti aspetti, a distanza di anni, ha avuto ragione».

Forse per certi versi è stato una figura incompresa, persino troppo avanti e ha pagato con la solitudine...
«Potrebbe essere una buona lettura».


 
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