Caso Bassolino, parla Rughetti: «Non è l’ora degli ex sindaci, per rinnovare serve tempo»

Caso Bassolino, parla Rughetti: «Non è l’ora degli ex sindaci, per rinnovare serve tempo»
di Claudio Marincola
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Lunedì 23 Novembre 2015, 08:41 - Ultimo aggiornamento: 11 Dicembre, 17:59
Quindici anni dopo l’ultimo mandato, don Antonio Bassolino punta a candidarsi sindaco a Napoli. Dire che il Pd non l’abbia presa bene è puro eufemismo. Renzi, che della rottamazione ha fatto il suo mantra, si è irritato. Angelo Rughetti, sottosegretario alla Pubblica amministrazione - eletto alla Camera in Campania - fa parte della squadra di governo ma non ha mai perso di vista gli enti locali e i cosiddetti “territori”.



Sottosegretario, possibile che la rottamazione non abbia prodotto a livello locale nessun nome nuovo?

«Direi piuttosto che i nostri gruppi parlamentari grazie alla spinta delle primarie volute da Renzi hanno portato un rinnovamento generale sia in termini di età che di presenza femminile. Un rinnovamento che si è spinto dentro il partito. La direzione e le assemblee sono composte da giovani amministratori. Da 2 anni e mezzo abbiamo iniziato a portarlo nei territori. È il passaggio più complesso che ha bisogno di dedizione. I nostri vice segretari sono encomiabili».

È un rinnovamento che però arriva dall’alto.

«Si sta realizzando. C’è bisogno di tempo. I passaggi più importanti li avremo quando ci saranno i congressi e le elezioni amministrative. Anche perché non sempre chi in passato ha avuto un ruolo e ha idee diverse dalle nostre è disposto a farsi mettere da parte, a dire “prego, accomodatevi!».



Ed ecco don Antonio.

«Bassolino avrà fatto le sue valutazioni. Ma non esaurisce le candidature. Il Pd presenterà altri candidati e altre idee. La legge elettorale ha accentuato le personalizzazioni. Già in passato abbiamo avuto ex sindaci che sono tornati in campo pensando che la loro candidatura avrebbe avuto effetti salvifici».



Prime frizioni tra i renziani?

«Quando lo leggo mi viene da sorridere. Faccio notare che tanti di noi hanno iniziato questo percorso politico solo perché sapevano che insieme a Renzi potevamo realmente cambiare questo Paese. E stiamo dimostrando che lo possiamo fare: nessuno avrebbe scommesso ad esempio un euro sul fatto che avremmo portato a casa la riforma delle province. Abbiamo spiazzato tutti. Era una riforma complessa, con processi che andavano accompagnati passo dopo passo, territorio per territorio. È la dimostrazione che un pd compatto fa bene al Paese».



I sindacati però non l’hanno appoggiata.

«Hanno perso l'occasione di accompagnare questo nuovo disegno, hanno preferito lanciare allarmi e falsi rischi. Speriamo che con la riforma della PA cambino atteggiamento».



A Roma non state messi benissimo...

«A Roma credo che il segretario abbia fatto bene a commissariare il partito e a nominare commissario il presidente Orfini. È stato dato un segnale di solidità e di importanza. Penso che sia stata fatta una buona azione di pulizia ma si è dato un messaggio distorto. Abbiamo sbagliato a parlare solo delle relazioni tra malaffare e amministrazione. Il Pd è stato sempre per tradizione il partito popolare che si è fatto carico di portare sui tavoli che contano le soluzioni per i problemi della città. Dobbiamo ripartire da lì, prendendo spunto dall’ottimo lavoro che il presidente Zingaretti sta facendo in Regione e rimettere la città davanti alle lobbies e ai gruppi di potere e di pressione che a Roma ci sono da tanto tempo».



Orfini ha sbagliato?

«Penso che ci sia stato un travaglio eccessivo nella vicenda Marino, convinti che sarebbe partita subito la fase due. Se errore c’è stato insomma è stato solo un errore di buonafede».

 
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