Banche, il sottosegretario Baretta: «Il piano Mps un modello per gestire le sofferenze»

Banche, il sottosegretario Baretta: «Il piano Mps un modello per gestire le sofferenze»
di Luca Cifoni
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Martedì 2 Agosto 2016, 00:17 - Ultimo aggiornamento: 3 Agosto, 09:21
L'operazione Mps come un modello che può essere esteso al resto del sistema bancario, per eliminare il fardello di sofferenze che lo appesantisce. Anche se gli esiti del piano approvato da Siena sono ancora tutti da valutare, e nonostante una reazione della Borsa ai risultati degli stress test tutt’altro che entusiastica, il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta è cautamente ottimista su quel che potrà accadere più avanti.

Vede buone notizie negli avvenimenti di venerdì scorso?
«Dopo la Brexit si era diffusa l’idea che il sistema bancario italiano fosse tutto quanto in crisi. Invece gli stress test dimostrano una cosa diversa: che quando si diceva che il sistema era complessivamente solido non si diceva una cosa sbagliata. Anzi. Quanto all’anello più debole, vale a dire Mps, c’è stata un’azione coraggiosa proprio in contemporanea con l’annuncio dei risultati».

Rispetto al molto parlare che si era fatto di un possibile intervento pubblico, da ultimo sotto forma di garanzia per l’aumento di capitale, alla fine si è optato per il modello della cartolarizzazione, ricorrendo a uno strumento che esisteva già.
«Sì. Il piano ha il vantaggio di essere di mercato, di non usare soldi dei contribuenti; e allo stesso tempo mette in moto investitori sia per l’acquisto delle sofferenze sia per la ricapitalizzazione di Atlante. C’è stata una mobilitazione importante anche a livello internazionale. In questo senso l’operazione può servire da test anche rispetto al resto del sistema. Non abbiamo una crisi sistemica ma abbiamo un problema con le sofferenze maggiore di quello di altri Paesi europei, per questa anche altre banche potranno avere la possibilità di eliminarle. Penso anche ai due istituti veneti, Popolare Vicenza e Veneto Banca».

È servita a qualcosa stata la trattativa con l’Unione europea per evitare lo spauracchio di un’applicazione del bail-in, dopo il caso delle quattro banche in cui era stato comunque applicato il principio della condivisione degli oneri?
«Questo caso va distinto da quello delle quattro banche dell’autunno scorso: allora gli istituti erano falliti, qui è stato evitato il fallimento. Certo, il dialogo con la Ue c’è stato, ma non è stato necessario arrivare al punto conclusivo, perché è trovato un punto di equilibrio. Io dico: meglio così. Oltre ai soldi dei risparmiatori potenzialmente coinvolti sono stati risparmiati anche quelli dei contribuenti, che sarebbero serviti a compensare le perdite».

Lei dice che questo schema potrebbe essere replicato. Ma davvero il rischio di bail-in passa sullo sfondo?
«Anche per il futuro ci dovremo muovere secondo uno schema che prevede tre tappe. Per prima cosa evitare il fallimento, poi togliere di mezzo le sofferenze, quindi fare un piano di sviluppo che permetta agli istituti di tornare ad una piena redditività. Complessivamente, il sistema bancario deve ancora trovare un’ulteriore semplificazione, c’è il nodo delle alleanze, di chi comprerà gli istituti come appunto Veneto Banca e Popolare Vicenza. Ci saranno altre evoluzioni».

Ma che motivi vede per essere ottimista visto che tra l’altro in Borsa sembra continuare il tiro al bersaglio sugli istituti italiani?
«Un primo motivo di ottimismo è dato proprio dal fatto che non c’è una crisi sistemica. Poi il piano messo a punto per Monte dei Paschi dimostra che è possibile gestire il tema delle sofferenze. E come dicevo il coinvolgimento e l’interesse degli investitori compresi quelli esteri dimostra che è stata percepita una svolta. Però è chiaro che il tema di fondo non sono tanto le banche, ma l’economia nel suo insieme e la sua capacità di rafforzarsi, perché è stato proprio il perdurare della crisi a creare un problema di sofferenze di queste dimensioni. Ci sono ancora incertezze, a cui si aggiungono quelle legate al terrorismo e alle altri variabili internazionali».

Tra i soggetti in campo, almeno potenzialmente, ci sono anche le casse previdenziali. Ma il loro possibile coinvolgimento ha provocato molte preoccupazioni e qualcuna si sta già tirando indietro...
«Mi pare un allarme ingiustificato. Premesso che saranno le singole casse a decidere, la prudenza è più che comprensibile visto che questi enti si occupano di gestire le pensioni future. Ma va detto che si tratterebbe di un impegno piccolo rispetto al loro patrimonio complessivo. Del resto già in precedenza avevamo incoraggiato fondi e casse previdenziali a investire nell’economia reale, anche attraverso una tassazione più favorevole: su un fondo di 80 milioni ne sono stati impiegati 36 e quindi ci sono margini per dare rassicurazioni».
 
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