Una nuova avventura che inizia a 60 anni. Cos’è Le Music-hall?
«È la riscoperta di un teatro meraviglioso del 1913. Quando i proprietari, i padri giuseppini, mi hanno chiesto di assumerne la direzione artistica ho detto di sì, a patto di farne un teatro come lo immagino io, di intrattenimento, con intelligenza. Abbiamo ristrutturato la sala, salvaguardando l’esistente, e abbiamo cercato di dare uno spirito di gioia e di gioco. Ci saranno tango, swing, mimi, clown, illusionisti, monologhi, contaminazioni, con uno spirito internazionale, ma mai serate di teatro intellettuale pesante. L’ho detto anche ai miei amici: se fate spettacoli su Madre Teresa o Pasolini, va benissimo, ma in un altro teatro».
Al Music-hall non ci sarà “Solo”, il suo nuovo one man show. Vuole tenere separati i due ruoli di artista e direttore?
«No, semplicemente Solo non entra nel Music-hall per le dimensioni e ha costi di gestione per cui non si rientrerebbe nelle spese. Questo non esclude che in futuro, possa preparare serate speciali».
“Solo” arriverà a Roma a febbraio 2018. Cosa può anticipare?
«Ha una sorpresa ogni 20 secondi, una sorta di the best of del mio lavoro. La storia ruota intorno a una casa in miniatura, la casa metaforica che ognuno porta nel cuore; c’è anche il rapporto con la mia ombra, che rappresenta la parte razionale: io voglio volare, lei mi tiene fermo al suolo. Ho 60 personaggi per 90 minuti di spettacolo».
Tanti personaggi, un ritmo frenetico, c’è qualcosa che ama fare lentamente?
«No, mangio velocemente, vado dritto al punto, mi annoio facilmente. Ma anche per le cose più intime, mica bisogna stare tutta la notte a fare l’amore, si fa, ma poi basta, guardiamoci un film! Poi ogni tanto il corpo si vendica per questi ritmi, ma ho imparato a gestirlo».
Le manca, nella carriera, recitare un solo personaggio e seguirne lo sviluppo nella storia, a cinema o a teatro?
«Ho fatto M. Butterfly con Ugo Tognazzi, in cui interpretavo una spia cinese. È stato bello e mi piacerebbe per il futuro. Prima di morire vorrei fare una cosa in cui si parli di vita e di morte, non temo la morte, l’importante è non soffrire. Mi dicessero che devo morire tra 3 giorni, non avrei rimpianti. Ho avuto una vita che ha superato i miei sogni».
Un consiglio che le hanno dato e mai dimenticato
«Un consiglio fantastico datomi dal prete da cui ho imparato i giochi di prestigio. Sono stato sei anni in seminario e quando gli ho detto che non credevo di avere la vocazione religiosa, mi ha risposto che l’importante era avere una vocazione e che, se l’avevo, dovevo seguirla. Adesso mi rendo conto di vivere la vita come una missione, la mia è intrattenere, mi sento artista 24 ore al giorno».
Hai iniziato da giovanissimo, hai perso qualcosa per strada?
«No, per niente, né nel lavoro né nel privato. Non mi manca neanche non avere figli, siamo già in tanti. Ho bellissimi nipoti!»
In cosa non bisogna essere trasformisti?
«Negli affetti veri, non solo quelli familiari, ma anche nell’amore. Ho tradito fisicamente, ma nell’affetto sono sempre rimasto fedele. Corpo e affetto sono due piani diversi, per me».
Lei ha detto di aver iniziato a esibirsi per vincere la timidezza. L’ha vinta?
«Sì, totalmente, il teatro è un’ottima terapia. Il timido sul palcoscenico è il sogno di se stesso, è come vorrebbe essere».
Sessant’anni appena compiuti, come l’ha presa?
«Non me ne sono accorto, continuo a fare le cose che amo. Poi ho incontrato Charles Aznavour, che è venuto a vedermi a teatro qualche giorno fa: ha 93 anni e progetta il tour del 2020! Se lo fa lui, perché no?»
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