IL CANONE A pochi giorni dal referendum per il Brexit, l’inaugurazione della nuova Tate Modern sembra proprio parlare a nome di chi ama il carattere internazionale di Londra, e di chi ama il creato tutto. Frances Morris, la nuova direttrice, dichiara che alla luce del nuovo mondo globalizzato è oggi necessario guardare all’arte in modo diverso, aprendone “il canone”. Ecco allora che la Switch House è interamente dedicata all’arte contemporanea internazionale. In esposizione il 60% di opere in più, tutte acquistate dalla Tate Modern nei suoi primi 16 anni di vita. Contro il “classico” monopolio degli artisti moderni – uomini – occidentali, grande spazio è lasciato alle donne. Nel 2000 le opere femminili erano appena il 17% di tutta la collezione, oggi il 50% delle sale dedicate a singoli artisti sono loro riservate.
I TEMI Notevole l’Artist Room di Louise Bourgeois, artista franco-americana che ha dedicato la sua arte ai grandi temi della nascita, della paura, dell’amore con l’onestà emotiva di cui solo le donne sono capaci, e ancora le sculture corporee della tedesca Rebecca Horn. Strutture da indossare – in tessuto, metallo, legno, piume –, capaci di cambiare la percezione di se stessi nello spazio, o l’interazione tra individui: una maschera di penne a coprire il volto, enormi mantelli, dei guanti dalle lunghissime dita, per percepire il lontano, vicino…
ESPOSIZIONI Sono tre i nuovi livelli espositivi, e a questi si aggiungono i Tanks al piano zero (zona un tempo dedicata alla centralina elettrica), spazio destinato all’arte performativa, al rapporto attivo arte-fruitore. Si può rincorrere dunque la propria ombra nell’opera di Dominique Gonzalez-Foerster, oppure riorganizzare a piacimento l’opera del pakistano Rasheed Araeen, composta di 100 enormi cubi blu, come un grande Lego.
I PAESI Giappone, Argentina, Ucraina, Benin, il mondo intero è presente all’interno della nuova Tate Modern, e come previsto dai migliori manuali di arte contemporanea non mancano le stranezze (se non le cialtronerie), come la favela di Oiticica con tanto di sabbia, piante e parrocchetti (vivi) starnazzanti o il modellino di una città algerina fatto interamente di cous cous cotto. Si esce, dopo la visita, prevedibilmente storditi dalla varietà di opere e mondi rappresentati, ma anche, come alla fine dei pensierini alle elementari, molto contenti e soddisfatti.
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