Antonio Tajani: «Migranti, Bruxelles versi sei miliardi per il fronte libico»

Antonio Tajani: «Migranti, Bruxelles versi sei miliardi per il fronte libico»
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Lunedì 4 Settembre 2017, 00:07 - Ultimo aggiornamento: 23:31

«Sono stati fatti dei passi in avanti, come il codice di condotta per le Ong, ma questo non significa che si è risolto il problema dei flussi migratori e degli sbarchi». Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo, invita l’Italia e l’Europa a tenere la guardia alta sul problema dei migranti e dell’Africa». L’accordo di Dublino va cambiato perché Italia e Grecia sopportano un peso enorme. E ora tocca alla Spagna».

Sta dicendo che a una settimana dal vertice di Parigi non si è mosso nulla?
«Si è cominciato a lavorare in Libia e questo lo ha fatto soprattutto l’Italia formando gli uomini della guardia costiera libica. Bene il lavoro di Frontex che ho toccato con mano visitando il centro di Pozzallo, ma ciò che si è fatto sinora sono solo misure temporanee».

Cosa occorre fare adesso?
«Lavorare con più velocità per trovare un’intesa in Libia. La stabilizzazione del Paese è importante e ciò può avvenire solo se si trova un’intesa tra Tripoli, Bengasi e le tribù del sud. Questo l’Europa lo può fare solo se si parla con una voce sola. A questo punto sarebbe un errore se l’Italia dicesse una cosa e la Francia un’altra».

Come si mettono d’accordo Serraj e Haftar?
«Serve un lavoro unitario e credo che la soluzione sia nel dare a Tripoli la guida politica del Paese e a Bengasi quella militare. Inoltre occorre lavorare con Niger e Ciad per fermare i flussi migratori di coloro che arrivano anche da altri paesi creando dei campi di accoglienza gestiti dall’Unhcr».

Per far questo però servono cifre importanti, chi paga?
«Occorrono sei miliardi. La stessa cifra che è stata usata per chiudere il corridoio balcanico va impegnata sul corridoio libico. Per la formazione, il consolidamento politico, la realizzazione di campi nel sud della Libia in Niger e Ciad, per la protezione militare dei campi servono stanziamenti rilevanti e nella gestione vanno coinvolte anche le Nazioni Unite».

Quanti soldi sono stati messi a disposizione sinora?
«L’Europa ha dato alcune centinaia di milioni, ma ora serve molto di più e occorre mettere sul tavolo la cifra usata per la Turchia».

Ci si riuscirà o i paesi dell’est punteranno i piedi ancora una volta?
«Si deve fare, altrimenti non si viene a capo del problema. L’incontro di Parigi ha dimostrato che c’è disponibilità da parte della Francia, della Germania e della Spagna. Ora occorre ampliare questo consenso e tramutarlo in atti concreti altrimenti non si risolve nulla. Fatto questo non basta, perché l’Africa non è solo Niger e Ciad. L’Europa ha a lungo perso di vista questo continente senza rendersi conto che cambiamenti climatici e demografia avrebbero spinto l’Africa a bussare alla nostra porta. Nel 2050 ci saranno due miliardi e mezzo di africani, nel 2100 dieci miliardi di africani. Se non c’è una crescita economica che accompagna questa esplosione demografica inevitabilmente si creerà un flusso da sud a nord».

Senza contare la minaccia terrorista.
«La miseria e la carestia rischiano di spingere le generazioni africane verso organizzazioni che trafficano in uomini, come in droga o armi. I terroristi di Boko Haram sono già forti in molte aree. Occorre dare speranza attraverso investimenti che possono coinvolgere anche la media e piccola impresa italiana, A novembre noi come Parlamento europeo dedicheremo una settimana all’Africa. Bisogna ammettere che siamo stati distratti troppo a lungo».

Ci si occupa di Africa e di migranti perché si teme che Daesh, sotto qualche forma, possa trovare nuovi spazi per impiantare il califfato?
«I due problemi sono solo indirettamente collegati. Cercheranno certamente, come mi ha detto di recente il presidente del Ciad, di far passare i foreign fighters attraverso i flussi migratori. Come tenteranno di infiltrarsi tra i gruppi radicalizzati dell’Africa sub sahariana, ma le priorità sono diverse e vanno ovviamente affrontate con strumenti diversi».

L’azione del governo italiano viene giudicata da alcuni con un approccio troppo securitario e poco attento alle necessità dell’accoglienza. Che ne pensa?
«Non possiamo non garantire la sicurezza dei nostri cittadini. Se non si difende la legalità non si è credibili anche sul piano internazionale. Ciò che è accaduto a Roma con l’occupazione di un palazzo per anni, non era più tollerabile ed è assurdo poi prendersela con un poliziotto che ha detto parole sbagliate».

Però se si chiude i migranti finiscono col morire nel deserto o in campi libici che non sono proprio alberghi
«E’ per questo che occorre muoversi rapidamente tenendo insieme le due cose. In Libia i campi vanno posti sotto l’egida dell’Onu in modo che i migranti siano assistiti e protetti. Poi riformare gli accordi di Dublino per dare regole certe a chi chiede asilo evitando che i profughi vaghino per mesi cercando un paese che abbia una legislazione che permetta l’accoglienza. Servono regole chiare e uniche in tutta l’Unione».

La Merkel è tornata di recente ad invocare una riforma e anche Macron sostiene la stessa necessità, ma non la trattativa non decolla. Perchè?
«Noi come Parlamento europeo stiamo andando avanti e molto presto ne discuteremo. Se c’è, come sembra, la volontà di accelerare da parte degli stati membri si può chiudere rapidamente».

Polonia, Ungheria e Slovacchia e Repubblica Ceca permettendo, visto che non vogliono nemmeno le quote già stabilite
«Il mercato del diritto d’asilo va interrotto. I paesi dell’est non possono pretendere di aver avuto soldi e supporto quando dovevano sostenere il passaggio ad un sistema democratico e ora non essere disposti a gesti di solidarietà. Comunque le procedure di infrazione nei loro confronti sono già scattate».

Dopo anni di difficoltà perché la percezione dell’Europa è cambiata e l’antieuropeismo sta perdendo terreno?
«C’è una ripresa, è vero e noi lo vediamo dai dati dell’eurobarometro. I cittadini europei chiedono un’Europa più interventista e che cambi, si riformi. Soprattutto in Italia».

La più volte annunciata riforma dei trattati si avvicina? Da dove si comincia?
«Molti sono gli ambiti dove si può intervenire. Per esempio il trattato che regola la Bce. L’azione di Draghi, con il quantitative easing è stata molto positiva e deve andare avanti. Poi c’è il tema degli investimenti europei e del ministro dell’Economia europeo che va preceduto dall’armonizzazione fiscale per evitare ciò che di recente ha denunciato anche la commissaria Vestager sulle grandi compagnie, come Google, che macinano utili in Europa e non pagano tasse e non danno lavoro».

Un esempio di Europa utile e concreta
«Oggi sarò con a Norcia e Spoleto con il commissario Tibor Navacsics, responsabile anche dell’organizzazione dei volontari europei e avremo un confronto con i cittadini.

La commissione bilancio del Parlamento ha approvato la settimana scorsa uno stanziamento per i comuni terremotati di miliardo e due. E’ il più alto stanziamento mai dato che il Parlamento voterà la prossima settimana. Inoltre l’Italia potrà utilizzare i fondi strutturali con un cofinanziamento del 5% e non del 50% per la ricostruzione».

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