«Faccio tv, ma non la guardo», Anthony Hopkins parla del suo ruolo in “Westworld”, nuova serie in onda su Sky Atlantic

«Faccio tv, ma non la guardo», Anthony Hopkins parla del suo ruolo in “Westworld”, nuova serie in onda su Sky Atlantic
di Tiziano Marino
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Sabato 27 Agosto 2016, 01:15 - Ultimo aggiornamento: 31 Agosto, 11:03
LOS ANGELES Settantotto anni ed essere ancora sulla cresta dell’onda. Anthony Hopkins non ha alcuna intenzione di andare in pensione e il 3 ottobre debutterà in esclusiva e in contemporanea con gli Usa su Sky Atlantic HD con Westworld, la nuova serie tv prodotta da J.J. Abrams, diretta da Jonathan Nolan – fratello del più famoso Christopher – e con un cast del tutto eccezionale. Oltre a Hopkins – premio Oscar nel 1992 per Il Silenzio degli Innocenti – ci sono attori del calibro di Ed Harris, Evan Rachel Wood e James Marsden. Lo show è una rielaborazione dell’omonimo film del 1973 di Michael Crichton (che in Italia uscì con il titolo Il Mondo dei Robot), un racconto di fantascienza a tema Far West dove alcuni androidi, comparse dalle sembianze umane di un parco a tema, iniziano a provare dei sentimenti e a sperimentare una sorta di intelligenza. I problemi però, sono dietro l’angolo.

Mr. Hopkins, l’appeal del mondo rappresentato in Westworld è una sorta di autentico “wild wild west”. Alla società di oggi quanto manca l’autenticità?
«Mi viene in mente la teoria di Micky Mouse ovvero che ci siamo alienati nel mondo, guardando sempre la tv, sopraffatti dalle migliaia di notizie che ci somministrano. Smettiamola di guardarla, è una scatola che diffonde paura tra le masse. Ma non mi prenda sul serio. Anche se credo che ci sia una sorta di cospirazione inconscia tra i network, le news e la pubblicità».

Ci spiega meglio?
«Ogni giorno, ascoltiamo grandi opinionisti in tv, al telegiornale, che continuano a dirci: “C’è da preoccuparsi! Bisogna stare attenti!”. Li senti prima di andare a letto, così la mattina quando ti alzi sei terrorizzato».

Lei cosa guarda in tv?
«Non la guardo affatto».

E come si informa?
«Non ne ho bisogno, le notizie mi arrivano comunque. È come l’obesità, è come quando ti dicono che se mangi cibo spazzatura ingrasserai e morirai. Allo stesso modo le informazioni ti avventano il cervello, la tua psicologia, ti rendono cinico e infelice. È un qualcosa che riguarda tutti, non solo i politici, tutti quelli che ti dicono che hanno una risposta e che sanno come cambiare la tua vita. Non è vero, non esiste alcuna risposta».

Se la odia così tanto, cosa l’ha convinta a fare televisione?
«La parte. Il Dottor Robert Ford, il personaggio che interpreto. È molto interessante. E poi mi hanno dato la possibilità di avere molto controllo su di essa, che è un paradosso, considerata la mia natura. Forse do l’impressione di essere uno che ha il controllo delle cose. Al contrario però, e in maniera assolutamente cosciente, cerco di non avere il controllo su nulla, soprattutto su me stesso. Sono convinto che più si rimuove il proprio ego e più si ha una vita pacifica».

Quindi lei una risposta ce l’ha.
«Assolutamente no. A volte la gente mi fa domande e io rispondo: “Non lo so”. E loro: “Come non lo sai?”. E io: “Sì, non ne ho la più pallida idea”. Un giorno morirò come tutti, tornerò al caos e a quel punto nulla avrà più importanza».

Pensa che le persone si siano fatte un’idea sbagliata di lei? Forse anche per via dell’associazione col personaggio di Hannibal Lecter. Lei è molto diverso in realtà.
«Sì, suono il piano e dipingo».

Che cosa rappresentano i suoi quadri?
«Praticamente nulla. Dipingo su carta fotografica con inchiostro, ma non ho alcuna idea della prospettiva. Non ho mai studiato pittura. Un giorno però un amico è venuto a un barbecue a casa mia, andando in bagno si è imbattuto nei miei quadri che erano appesi nel mio studio e li ha trovati molto belli. Gli ho detto che non avevo nessuna esperienza e lui mi ha risposto: “Non importa, quell’esperienza di cui parli distruggerebbe il tuo istinto, seguilo e basta”».
 
È così anche per le sue composizioni musicali?
«Esattamente. Cinque anni fa ero nel mio studio e componevo improvvisando. Un amico musicista mi disse: “Non aver paura di rompere le regole, non pensare troppo all’arco narrativo, alle parti, alla tecnica. Non prenderla troppo sul serio. Stai facendo qualcosa che è unico”».

Cosa racconta la sua musica?
«Della vita, niente di speciale».

La sua carriera però è stata speciale. Lo è stata anche dal suo punto di vista?
«No, sono solo fortunato a essere ancora qui. Mi piace, mi diverto e adoro l’inaspettato. Anni fa, quando ero pieno di problemi, qualcuno mi chiese come mi sentivo, e io risposi: “Totalmente inadeguato”. Lui ribatté: “Perché lo sei”. Aveva ragione, non possiamo predire nemmeno quello che accadrà nei prossimi dieci secondi, non abbiamo alcun potere, nessun controllo su niente e su nessuno. È questa l’unica cosa certa».
 
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