GLI IMPEGNI
Il Campidoglio si era impegnato a ridurre di 437 milioni il buco nei conti, un extra deficit calcolato complessivamente in 550 milioni l’anno. A fronte di questo impegno, il governo ha assegnato a Roma un contributo di 110 milioni per chiudere completamente la voragine. De Vincenti ha invitato la giunta Raggi a discutere dell’andamento del piano di rientro del deficit nella sede «deputata», il tavolo interistituzionale di Palazzo Chigi, dove è presente anche il Tesoro con il sottosegretario Paola De Micheli. Ed è proprio qui, tuttavia, che la questione del salario accessorio potrebbe assumere una rilevanza anche per il ministero dell’Economia. Che sulla vicenda nutre più di un dubbio.
La questione è legata alla strada indicata dalla Raggi a De Vincenti, per recuperare i 350 milioni di premi e incentivi erogati indebitamente ai dipendenti capitolini dal 2008 al 2014. La legge prevede sostanzialmente due strade per farlo. La prima è quella di ridurre i futuri fondi del salario accessorio, abbassando di fatto anche le retribuzioni dei dipendenti. Era il sentiero sul quale si era incamminato il commissario straordinario Francesco Tronca. La seconda è ridurre strutturalmente la spesa del Comune su alcune voci, come quella del personale o quella degli affitti.
L’intenzione della Raggi sarebbe proprio quella di puntare sulla spending review. Ma, e qui sta la novità, utilizzando a tal fine le economie di spesa già previste nel piano di rientro del deficit predisposto dall’allora assessore al bilancio Silvia Scozzese. Il timore del Tesoro è che l’intenzione del Campidoglio non sia quella di incrementare i risparmi previsti da quel piano, ma di utilizzare la minore spesa già conteggiata nei 437 milioni per coprire anche il recupero delle somme erogate illegittimamente ai dipendenti e dare una veste di legalità allo sblocco del salario. Questo rischierebbe di aprire nuovi buchi nel bilancio del Comune, facendo aumentare il deficit strutturale. Non è l’unica questione che dovrà essere discussa al tavolo. L’altra riguarda il piano di dismissione delle partecipate «non strategiche», come Farmacap o le Assicurazioni di Roma. Alla base del contributo da 110 milioni c’era anche questo impegno, che tuttavia il Campidoglio sembra non voler più rispettare. La partita, insomma, è appena cominciata.
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