«Politica, teatro cannibale»

«Politica, teatro cannibale»
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Martedì 9 Dicembre 2014, 05:53
L'INTERVISTA
Poveri politici. Tanto daffare in tv, sempre lì a twittare, a postare, a dibattere, per poi non contare più niente. Christian Salmon aveva già smascherato il discorso politico diventato racconto puro, narrazione ad uso e consumo dei media, nel best seller «Storytelling», pubblicato nel 2007.
Oggi lo scrittore e saggista francese dà il colpo di grazia ai nostri governanti con La cérémonie Cannibale, la cerimonia cannibale, pubblicato in Italia da Fazi col titolo La politica nell'era dello storytelling.
Non lascia scampo a chi ci governa: tutti destinati a farsi divorare. Perché?
«La “cerimonia cannibale” è il nuovo teatro del politico. Il dramma che vi si svolge non è altro che lo sbranamento dell'uomo politico come lo conosciamo da duecento anni, per l'effetto congiunto delle politiche neoliberiste che hanno tolto allo Stato i mezzi per agire e dell'esplosione dei social network che lo costringono a una sovraesposizione. L'uomo di Stato è diventato l'uomo dei Media, un performer, un personaggio da serie tv».
Non si salva nessuno: Obama, Hollande, Cameron, Merkel, Renzi sono davvero «tutti uguali»?
«Da Clinton a Sarkozy, passando per Blair, Bush e Obama, sotto la lente dei nuovi media appare lo stesso capo di Stato sovraesposto, vicino fin quasi all'osceno, onnipresente fino alla banalizzazione. È il corpo sudato di Sarkozy che fa jogging, il corpo spettrale di Berlusconi, quello dimagrito di un Hollande dopo la dieta. Il corpo scattante di Renzi, che legge L'arte di correre di Murakami».
François Hollande aveva provato a resistere. Ma la presidenza normale non sembra aver funzionato.
«La “normalità” non interessa a nessuno. L'idea di una presidenza normale è un'illusione ottica che può reggere il tempo di una campagna elettorale per distinguersi dagli eccessi di un predecessore come Sarkozy o Berlusconi, ma che svanisce appena si arriva al potere».
Come giudica Matteo Renzi?
«Dopo il capitolo Monti, che somiglia alla deludente parentesi Hollande, Renzi segna il ritorno di un performer consumato che ha capito le nuove leggi della performance politica. Da questo punto di vista, il mio libro può essere letto tanto come un manuale renziano di governo quanto come la cronaca annunciata delle sue difficoltà. Renzi spinge lo storytelling alle ultime conseguenze. Non è più solo un mezzo per comunicare, è l'essenza stessa del potere. Non ha forse detto lui stesso al festival dell'economia di Trento: “la prima misura economica da adottare è cambiare lo storytelling dell'Italia”? Questo rivela una concezione puramente performativa dell'azione politica: raccontare è agire. È la forma che assume la volontà politica quando il potere viene privato degli strumenti per agire. Questo “volontarismo impotente” rischia di non avere risultati. Deve allora raddoppiare d'intensità, imporsi con più forza per ritrovare credito, cosa che a sua volta accentuerà il sentimento d'impotenza dello Stato. Come l'inflazione monetaria mina la fiducia nella moneta, così l'inflazione di storie rovina la credibilità del narratore politico. A troppo scommettere sullo storytelling, alla fine si potrebbe diventare quello che nella teoria del racconto si chiama un narratore poco affidabile».
Ma questa sovraesposizione dei politici non potrebbe essere una buona notizia per la democrazia? Davvero dobbiamo rimpiangere i politici di un tempo, segreti e inaccessibili, ma per questo anche meno controllabili?
«La vita è breve, scriveva Shakespeare, e se viviamo, viviamo per camminare sulla testa dei re. Bene dunque svelare il volto dei sovrani, a condizione però di dare un volto a una nuova democrazia. E invece qual è il problema? La sovranità degli Stati fa acqua da tutte le parti, si è schiantata sulla mondializzazione neoliberista e la costruzione europea. In Europa i trattati hanno organizzato cessioni importanti di sovranità: moneta e controllo delle frontiere. Il Dna della sovranità si è spaccato in due: da una parte un potere anonimo e invisibile che agisce (Bruxelles, i mercati, le multinazionali, le banche centrali, l'Fmi), dall'altra, poteri visibili, sovraesposti, ma impotenti ! da una parte poteri senza volto, dall'altro volti impotenti...».
Hanno ragione i populisti o l'antipolitica, Cinquestelle, Lega o Fronte Nazionale, a criticare la «Casta»?
«Questi movimenti sono come gli arti fantasma nel corpo amputato degli Stati nazione. Sono la vox populi dei perdenti della sovranità. Che se la prendano contro la corruzione, i governanti, le multinazionali o gli immigrati, trasformano in voti le frustrazioni legate alla sovranità perduta. Da qui il paradosso del loro successo elettorale, incapace di resistere all'esercizio del potere, che consiste invece - come dimostra il decreto Sblocca Italia - a smantellare sempre più lo stato e la sua funzione regolatrice. Ecco perché non basta denunciare il populismo, bisogna affrontare la questione della sovranità senza nostalgia e con determinazione. Che vogliamo? Come riconquistare spazi di sovranità democratica dal più piccolo dei comuni all'Europa intera? Non basta più cambiare i governanti con le elezioni, occorre cambiare la scena democratica che è in piena decomposizione».
Francesca Pierantozzi
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